Memorie di un nummomane, capitolo 4

Prosegue il racconto in prima persona di un appassionato di monete, scritto da un appassionato di monete.

Dopo il terzo capitolo, continua la pubblicazione con cadenza settimanale del libro di Demian Planitzer Memorie di un nummomane. Ovvero: tramonto di un collezionista di monete antiche (pp. 128, Albo Versorio edizioni, Milano 2017, € 9,50).

Capitolo quarto. Ecco che arriva il Tano

Di come la fortuna si attardi spesso a baciare le capre.
“Il banano mostra malvolentieri le
foglie sfilacciate dal vento di ieri, come
io i miei pensieri, ora, dopo una giornata
piena di amarezza…”.

Ecco che arriva il Tano.
“Ciao Tano, come va? Novità?”.
“Novità? Mi pare di sì”.
“Vieni su che prendi il caffè”.
Il Tano è, primo, un ignorante, secondo, antipatico, terzo, avrebbe
bisogno, come si dice, di un’altra bollita, ma con il metal-detector
palpeggia tutti i muri antichi del Trentino e trova un sacco di roba,
questo schifoso.
“C’hai qualcuno in casa?”
“No, sono da solo. Hai trovato qualcosa?”.
“Perché tu lo chiami qualcosa questo qui?”.
Mi butta sul tavolo un pacchetto avvolto con pagine dell’Adige di
Trento.
“E cosa c’è dentro?”.
“Dimmelo tu, quanto prendo?”.
Apro curioso il fagotto di carta, ci sono 3 grosse monete d’argento,
tre talleri con montatura raffinata in argento sicuramente. Vedo Maria
Teresa d’Austria.
“Ma ascolta, dove le hai trovate?”.
“Eh! Eh!”, mi risponde furbescamente con gli occhi sorridenti e i
denti perfetti anche se ingialliti.
Ce ne sono altre due, piccole, due ongari di Mattia Corvino, due
monetine d’oro grandi come gli zecchini veneziani.
“E questi?”, incalza il Tano.
“Sì, sono due ongari, molto belli. Strano che siano assieme ai talleri
di Maria Teresa. Ma lo sai che quello che trovi è dello Stato, secondo la
legge? E poi bisognerebbe informare la Soprintendenza così qualcuno
potrebbe studiare il perché ed il percome erano là”.
Il Tano chiude il pacchetto e se lo infila in tasca. Fa sempre così
quando gli ricordo cosa dice la legge.
“Secondo la mia legge sono mie perché le ho trovate io. Lo Stato
poteva trovarsele lui se gli interessavano”.
“Almeno fammele vedere con calma che ti dico quanto possono
valere…”.
E’ per questo che il Tano viene da me, non per vendermele.
“Ricordati di quello che ti ho detto”, gli rimarco.
“Ne vuoi una?”, mi butta là.
Ma io come faccio che sono in bolletta e poi andare in mezzo alle
grane non mi piace nemmeno il pensiero.
“No Tano, tienile tu, sai come la penso”.
Il Tano è strano, non sa nulla di storia ma le monete gli piacciono un
sacco. Avrà la quinta elementare eppure non si riesce ad imbrogliarlo
in numismatica nemmeno a volerlo.
Guardo il suo ritrovamento e toccando i nummi penso a quanto
tempo e per quali ragioni erano stati nascosti in quel muro che il Tano
sostiene di aver rovistato. Chissà quanti colli con i nivei decolté in
mostra a feste lussuose avranno visto i talleri austriaci con la montatura
altezzosa e penso a quante monete sono nascoste in giro, sotto
intonaci spessi solo qualche centimetro. Il Tano beve il caffè, guarda
con soddisfazione il suo bottino con quella luce negli occhi che gli
invidio. Mi concede di fotografarle per studiarle ed essere più preciso
sul valore. Ora le sue mani da contadino, corte e paffute, dove vistosi
calli germogliano rigogliosi, rapiscono quei nummi ma li maneggiano
con delicatezza suprema. Li avvolge nel giornale e se li mette nella
tasca del cappotto duro e spesso. Chi potrebbe immaginare che quel
gonfiore nasconda due ongari di Mattia Corvino?, vaneggio assente
mentre osservo dalla finestra i boschi incantati rosseggiare d’autunno
sul versante dell’altopiano della Lessinia, illuminati dall’ultimo
morbido sole, giusto prima del tuffo dietro la catena del Monte Baldo.
Guardo il Tano sulla vecchia Fiat Panda marrone: parte direttamente
in seconda. Chissà dove piazzerà quelle monete. Chissà se dormirà
stanotte in attesa della mia telefonata sul valore preciso.
Vedete che è inutile cercare di voler abbandonare questo male? Ti
viene a cercare direttamente a casa se lo trascuri, come un cane che
annusa i tartufi sepolti sotto terra.
“Chi è venuto?”, è la mia dolce metà che vuole sapere. Ma dov’era
andata in tutti questi giorni in cui ho vagato nella mia mente stanca
come in un acquario senz’acqua? Era qua con me, sì, ma non me lo
ricordavo, non la sentivo, non la vedevo. Faccio proprio schifo.
“Il Tano con un paio di monete”.
“Non vorrai mica comperarne ancora, con tutte quelle che hai
potresti vendergliele tu”, conclude stizzita allontanandosi con il tubo
dell’aspirapolvere in mano che a momenti urlerà tutta la sua rabbia
inspirando nei polmoni le briciole nate sul tappeto persiano. Ho
sempre più la sensazione che questo elettrodomestico sia un antistress,
quel suo profondo urlo d’aiuto che stordisce l’aria pare benefico per
la psiche della mia dolce metà che per alcuni minuti è frastornata dal
rumore come quando andava in discoteca. Io, invece, non vedo l’ora
che quello spirito malvagio ritorni nell’aspirapolvere a dormire.
Non le rispondo neanche ma ho sempre più la conferma che ci sia
un motivo perché le donne non sono collezioniste. A parte Isabella
Gonzaga e la regina Cristina di Svezia.
“Sai cosa facevano Isabella Gonzaga e Cristina di Svezia?”, chiedo
alla mia compagna di vita per prenderla in giro.
“No e neanche mi interessa”.
Chiudo il listino delle monete che avevo preso in mano per
confrontare quelle che mi ha mostrato il Tano e me ne vado a guardare
le galline nel pollaio che beccano il mangime e il gallo che cantando
fa il suo dovere fissandomi superbo e con compatimento.
Il sole si sta ammalando e non fa più caldo.
Il ciliegio sta pensando di far cadere le ultime foglie e i tralci delle
viti si distendono sui fili di ferro come per sgranchirsi dopo mesi di
sforzi. Il banano mostra malvolentieri le foglie sfilacciate dal vento di
ieri, come io i miei pensieri, ora, dopo una giornata piena di amarezza,
se non vi fosse entrato il Tano con le sue medicine.
“Belli però quei due ongari di Mattia Corvino. Che fortunato il
Tano accidenti, dovrei andare con lui…”.
Un gatto miagola vicino ai miei piedi che stanno caldi nelle ciabatte.
Vedo un grappolino d’uva dimenticato tra le foglie che ora sono rade.
Il succo mi bagna la gola, dolce e gradevole come gli ongari del Tano.
La natura si prepara all’inverno mentre io vorrei la primavera. Mi
insacco nelle spalle mentre sento le campane da morto suonare per il
vecchio Ireneo, quello invalido sulla carrozzina.
Sputo i semi dell’uva e torno dentro a riprendermi i pensieri
macerati di nausea e a mettermeli sulla testa come un elmo bucato.
Devo escogitare il sistema per racimolare un po’ di contante, manca
poco alla fiera.
“Appena mi sdraio a letto, mi metterò a pensare solo a questo”.
Eppure tutto intorno il mondo viaggia e si espande da solo, la
stagione invernale allunga le mani per avvicinarsi ai sentieri di
dicembre in sordina come un pianoforte insonorizzato. Peccato che
l’inizio dell’anno non corrisponda con la primavera ma con il centro
dell’abisso dell’inverno.