LA RIVOLTA DEL SALE E I QUATTRINI DELLA LIBERTÀ

documents-button(di Roberto Ganganelli) | Non è raro, nella storia di piccole e grandi città italiane, assistere a scontri, talvolta violentissimi, originati dal desiderio di riconquistare antiche libertà e sovvertire così una realtà differente, fatta di esplicito o velato asservimento ad un’autorità superiore quale l’Impero o il Papato. Questo è stato, a lungo, anche il caso di Perugia che, tra XV e XVI secolo, visse momenti di grande tensione con le autorità pontificie sfociati in quella che è passata alla storia come la “Rivolta del sale”. In virtù di un trattato concluso con Eugenio IVil15 settembre 1431, infatti, Perugia poteva comperare il sale dove e da chi volesse. I Perugini ne acquistarono allora dai Senesi e in seguito, per lungo tempo, dallo stesso papa; invece che mantenersi della medesima bontà e bianchezza, però, il sale fornito dai monopoli pontifici divenne presto, secondo le cronache, “nero e cattivo”.

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Il grifone, simbolo dell’autonomia cittadina di Perugia, in un antico codice (source: web)


Per un trattato del 1424 concluso con Martino V, inoltre, la città godeva dell’esenzione da ogni tassa che non fosse in vigore già al tempo di Bonifacio IX; questi trattati, confermati da tutti i papi successivi, vennero da ultimo ratificati anche da Paolo III Farnese nel primo anno del suo pontificato. Il 21 gennaio 1540, tuttavia, giunse una Bolla con cui si intimava ai Perugini l’accettazione di una nuova tassa sul sale sotto pena di interdetto, confisca dei beni, privazione dei privilegi e del contado alla quale venne fatta, inizialmente, “grata accoglienza e lieta cera” rassicurando il papa sull’obbedienza della città.

Ma la realtà si rivelò presto diversa; a Perugia, infatti, “non si ruminavano più che pensieri di guerra”. Riportano le cronache che “le botteghe erano chiuse, sospesi i traffici ed i commerci; da tutte parti si apprestavano armi, e in molte famiglie più non valevano a ricomporre gli animi esaltati né ammonizioni di madri, né preghiere di spose, né vezzi e baci d’innocenti creature”. Non si procedeva tuttavia, per il momento, ad un’aperta ribellione ma venne formato un Consiglio dei Venticinquedestinato a trattare col Legato e con mandato espresso di non accettare nessuna imposizione. Non era, in realtà, la tassa sul sale il solo motivo della resistenza dei Perugini. In essa, infatti, i cittadini videro un pretesto per cercare di conservare autonomia nell’elezione dei magistrati e l’osservanza degli antichi statuti, embrione di quelle libertà già da tempo messe in discussione. Il 5 aprile 1540 fu collocato, sopra la porta del Duomo che guarda il corso, un grande crocifisso davanti al quale, per tre giorni, si snodò una lunga processione di confraternite insieme coi priori e col popolo, ma con l’assenza dei religiosi.

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Un rarissimo quattrino perugino del 1540, ancora più pregevole in questo stato di conservazione (source: Numismatica Ars Classica)


Il 16 maggio, al tramonto, giunse all’improvviso a Perugia, “con grande scalpitio di cavalli”, il condottiero Rodolfo Baglioni e a molti parve d’avere in pugno la vittoria e d’aver ricuperato i primitivi diritti: “i berretti andavano all’aria, tutte le mani plaudenti si protendevano in alto e fra le grida della folla toccheggiava in fretta, e pareva venir meno, il cupo suono della campana maggiore”. Ma il5 giugno fece il suo ingresso in città niente meno che Pier Luigi Farnese, figlio primogenito di Paolo III, con 1500 fanti e 300 cavalieri che si sparsero per la città mandando grida selvagge. Tra i capitani spiccava “una figura torva, che parea non dare ascolto al favellìo degli altri e girando, intorno irrequieto lo sguardo, pareva accogliere in mente un deforme pensiero che lo tormentasse”. Era costui il tifernate Alessandro Vitelli il quale, non sopportando che Perugia avesse un castigo che a lui pareva troppo lieve, concordò con alcuni ufficiali che nella notte si levassero grida sediziose per fornire un pretesto al saccheggio della città.

Fu così che “dopo un dominio temperato e benigno di 237 anni, quei priori, che non erano usciti mai se non in corpo dal loro palazzo, che aveano tante volte partecipato a glorie italiane nonché perugine, che erano sopravvissuti nella lor forma rudimentale a tante prepotenti invasioni, quei priori, nel 5 giugno 1540, senza saluto di popolo, né congedo di amici, tornarono inosservati e soletti alle case loro come dieci fanciulli licenziati da scuola. Fu quella veramente la ultima ora della inferma libertà perugina”.

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Un serpente avvolge nelle sue spire e doma il grifo: così papa Paolo III celebrò in medaglia la sottomissione di Perugia (source: archive)


Durante la “Rivolta del sale” Perugia, che si era proclamata “Civitas Cristi”, coniò quattrini in bassa mistura con l’effigie del patrono sant’Ercolano (di impianto assai simile ad un tipo eugubino coniato per la prima volta da Guidubaldo I da Montefeltro) divenuti presto l’emblema dell’effimera rivolta contro papa Farnese, ultimo tentativo di riconquistare quell’autonomia comunale già perduta, di fatto, da tanto tempo. Dal diametro variabile tra i 15,0 e i 18,5 millimetri, pesanti mediamente 0,72 grammi, questi quattrini sono molto rari e sono stati classificati da Angelo Finetti in “La zecca e le monete di Perugia” (Perugia 1997) ai nn. 208-213. Al dritto dei quattrini della Guerra del Sale perugini è raffigurata la croce patente, con riferimento a PERUSIA AUGUSTA CIVITAS CRISTI (variamente abbreviato), mentre al rovescio vi è la figura intera del santo con legenda S HERCULANUS.