IL TESORO DI TOR SAN LORENZO: LE MONETE
DEGLI OSTROGOTI, LA STORIA DI UN RITROVAMENTO 

(di Fabio Scatolini) | E’ in preparazione, nella prestigiosa location del Museo dell’Alto Medioevo a Roma, parte del polo museale dell’EUR insieme al Museo Pigorini ed al Museo della Civiltà Romana, una mostra interamente dedicata al regno degli Ostrogoti. L’evento prende le mosse dallo studio numismatico di un cospicuo nucleo di “minimi” di circa 700 pezzi, conservati nel Museo dell’Alto Medioevo a seguito del loro rinvenimento – tra la fine degli anni ’60 e gli anni ‘70 – nella località marittima di Tor San Lorenzo (Ardea, in provincia di Roma). Queste monete, pur ritrovate disseminate in un’ampia area costiera, sono molto probabilmente riconducibili ad un unico tesoretto (alcune monete sono state rinvenute in agglomerati di 20-30 esemplari), occultato intorno alla metà del VI secolo: i nummi più recenti risalgono, infatti, al regno di Baduila.

A sinistra, l’antica torre simbolo della località laziale di Tor San Lorenzo; a destra, ritratto di Totila (Baduila) dipinto da Francesco Salviati a metà del XVI secolo 

La composizione del ripostiglio è, ad ogni modo, varia: vi sono esemplari di nummi tardo-romani (del IV-V secolo), Vandali e protovandali (di V-VI secolo). Abbiamo anche esempi di AE2 (altresì conosciute come maiorine) di metà IV secolo e di antoniniani in bronzo, tutti frammentati, per adeguarli ai nuovi standard ponderali. Da notare, anche una litra romana repubblicana databile al 235 a.C. Tutte queste monete, intere e frazionate, hanno in comune il peso, che si aggira attorno al grammo, pressappoco il peso dei 2,5 nummi emessi nel regno ostrogoto, il che giustifica la loro presenza accanto alle monete minime gote. Dobbiamo ritenere, quindi, che questa varietà di monete rispecchiasse la massa di circolante al momento dell’interramento del tesoretto; tanto che le monete più vecchie presentano un’usura più marcata, segno del loro persistere nella circolazione per più tempo. La loro presenza non sorprende: è, anzi, una costante nei ripostigli monetali di questo periodo (cfr. Marani F., “Due gruzzoli bronzei della metà del VI secolo dal Lazio meridionale” in “Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica” 58, 2012, pp. 193-240).

A sinistra, sala dell'”opus sectile” al MAME di Roma; a destra, due “pendilia” conservati presso lo stesso museo

Il luogo in cui questo numeroso gruzzolo venne nascosto era, all’epoca, un’area sepolcrale ed ebbe questa funzione dall’età costantiniana fino ad almeno il VII secolo, secondo il Lampe. Prova ne sarebbe il rinvenimento di un cranio e di alcuni resti ossei. Il luogo di occultamento è lo stesso di altri tesoretti coevi: probabilmente, nascondendo il materiale in un’area di sepoltura, si cercava di scoraggiare, a causa della “particolarità” del luogo, eventuali ricerche da parte di chi intendeva poi appropriarsene (cfr. Marani F., “Ritualità e moneta in alcuni contesti funerari tardoantichi del Lazio meridionale” in “Archeologia e memoria storica. Atti delle Giornate di Studio (Viterbo 25-26 marzo 2009)”, 2012).

A seguito dei selvaggi lavori edilizi avvenuti in questa località nella seconda metà del secolo scorso, il contesto archeologico e stratigrafico risulta ormai irrimediabilmente compromesso. Questo tesoretto rimane quindi, pur decontestualizzato, un mezzo per comprendere gli eventi che qui si sono avvicendati e, inoltre, viene a configurarsi come un nuovo ripostiglio di età ostrogota, affiancandosi ai pochi altri della stessa epoca rinvenuti in Italia. L’importanza che riveste il materiale numismatico del nucleo dei minimi, attorno a cui intendiamo far ruotare tutta la mostra, risiede proprio nel fatto che tali manufatti apportano con la loro mole un contributo importante allo studio della monetazione ostrogota, caratterizzata dall’esiguità delle testimonianze dei ritrovamenti di tali piccoli nominali.

Gran parte del materiale numismatico del tesoretto di Tor San Lorenzo è composto per più di un terzo (circa il 37 %) da monete di Baduila, emesse a Roma e Ticino. Nei ripostigli già noti di Suessa Aurunca e di Castro dei Volsci si riscontra ugualmente un’alta percentuale di nummi di questo re. Per la precisione essi costituiscono il 43,5% del ripostiglio di Suessa e il 73% di quello di Castro dei Volsci. Secondo Arslan, è probabile che gli ultimi re goti, abbiano tentato di soddisfare il mercato, fino a Teodorico povero di minimi goti, con imponenti coniazioni di nummi in bronzo (cfr. Arslan E. A., “Goti, Bizantini e Vandali: a proposito di ripostigli enei di VI secolo in Italia Centrale” estratto da “Quaderni ticinesi di numismatica e antichità classiche. Vol XII”, Lugano, 1983). Uno degli scopi della mostra, forse il principale, è quello di permettere al grande pubblico di avere una panoramica generale del periodo storico in cui gli Ostrogoti regnavano in Italia, ai più poco conosciuto, e della loro monetazione.

A seguito della caduta dell’Impero Romano di Occidente, evento convenzionalmente fissato all’anno 476, e, in parte, già dall’inizio del V secolo, varie popolazioni si insediarono nei territori imperiali: i Visigoti, ad esempio, che tra il 416 e il 418 si stanziarono in Aquitania; o i Franchi, che nella prima metà del V secolo stabilirono un proprio regno tra Gallia e Renania. In Italia, il regno ostrogoto ebbe inizio nel 493, dopo che i Goti, guidati dal loro re Teodorico e inviati dall’imperatore Zenone, ebbero la meglio su Odoacre, che dal 476 reggeva l’Italia come “patricius” e “rex Italiae”. Scelsero come capitale Ravenna e governavano in quanto rappresentanti dell’imperatore d’Oriente.

La loro monetazione, tra quelle dei vari regni romano-barbarici, risulta essere quella più articolata. Essa è basata sul trimetallismo, consta cioè di monete emesse nei tre metalli: oro, argento e rame. In tale senso, questa ricalca la precedente monetazione tardo-romana. Il massimale aureo è il solido, di 4,5 grammi circa, recante al dritto il busto a tre quarti e il nome dell’imperatore d’oriente regnante; al rovescio vi è una Vittoria che regge una croce ingioiellata. Come sottomultiplo del solido viene emesso, similmente al precedente sistema romano, il tremisse, un terzo di solido, di 1,5 grammi, con al dritto il busto di profilo dell’imperatore e al rovescio la Vittoria che avanza a destra.

A sinistra, solido di Teodato-Vitige a nome di Giustiniano I; a destra, tremisse di Teodorico a nome di Anastasio

In argento vengono coniate sia mezze silique che quarti di silique, così definite secondo la terminologia moderna. Esse raffigurano al dritto il busto di profilo dell’imperatore e relativa legenda, mentre al rovescio, differentemente dall’oro, compare il nome del re ostrogoto di turno su tre o più righe, oppure il suo monogramma, in corona laurea. Le zecche che si occupano dell’emissione di monete d’argento sono Roma, Milano, probabilmente Sirmio e nell’ultimo periodo Ticino. Forse con Vitige anche Ravenna risulta attiva nella coniazione di quarti e ottavi di silique. Se quindi, i tipi aurei si configurano come mera copia delle monete orientali, differenziandosi esclusivamente per lo stile, e in qualche caso per il monogramma del re al termine della legenda del rovescio, molta più libertà è lasciata alla moneta argentea e, soprattutto, enea.

Siliqua di Teodato a nome di Giustiniano

La monetazione in lega di rame si suddivide in diversi nominali, tutti comunque trasposti dalla monetazione bizantina successiva alla riforma di Anastasio del 498: il follis, moneta in bronzo da 40 nummi e dal peso oscillante, a seconda del periodo di emissione, tra i 15 e i 10 grammi; il mezzo follis da 20 nummi, dal peso di 7-9 grammi; il decanummo, come dice il nome, da 10 nummi e pesante circa 5 grammi e il pentanummo da 1,5 grammi. Il nummo, la base della monetazione enea, spesso non arrivava al grammo.

Esistono diverse tipologie di questi nominali, la più famosa delle quali è quella che reca al dritto la personificazione di Roma e la legenda INVICTA ROMA.     Generalmente i bronzi recano al dritto le personificazioni delle città che ospitavano la corte, nonché simboli del potere goto: Roma, Ravenna e, più tardi, Ticino (cfr. Arslan E. A., introduzione del catalogo della mostra “I Goti”, Electa, 1994).

A sinistra, moneta da 20 nummi con al dritto il busto di Roma; a destra, decanummo di Atalarico con al rovescio il re

Sui rovesci dei follis e mezzi follis troviamo la raffigurazione della lupa che allatta i gemelli, di un’aquila e di due aquile ai lati di un albero (probabilmente identificabile con il fico ruminale, collegandosi in tal modo alla lupa presente in altri rovesci). Nei nominali enei minori, invece, è riportata la titolatura del re: ad esempio nei decanummi di Atalarico, nei rovesci delle monete del tipo INVICTA ROMA, leggiamo D N ATHALARICVS REX su quattro linee. In alcuni decanummi sempre di Atalarico, al rovescio, è raffigurato il re (probabilmente, in abiti militari con scudo e lancia).

Esistono anche emissioni riconducibili alla capitale, Ravenna: essi mostrano la personificazione della città e la legenda FELIX RAVENNA; al rovescio viene variamente raffigurata un’aquila oppure il monogramma della città. Nei pentanummi invece vi è una Vittoria con ghirlanda e palma e le lettere R e V identificative della città. Decisamente più rari i decanummi emessi da Baduila ai tempi della guerra gotica nella zecca di Ticinum. Essi sono una trasposizione del tipo FELIX RAVENNA per quanto concerne il busto. In questo caso la legenda muta, ovviamente, in FELIX TICINUS. Al rovescio vi è la titolatura e il nome del re: D N BADVILA REX.

A sinistra, decanummo del tipo FELIX RAVENNA; a destra, decanummo del tipo FELIX TICINUS

In alcuni casi, nell’ambito dell’emissione monetale, all’autorità regale gota si affianca quella civile del Senato di Roma. La sigla S-C, infatti, che nell’alto e medio impero caratterizzava le emissioni enee, poste sotto la giurisdizione di questo organo, quali ad esempio assi, dupondi e sesterzi, fa di nuovo la sua apparizione su folles e decanummi di Teodorico, di Atalarico e Teodato. La presenza di questa sigla, ci fa immaginare un ruolo tutt’altro che marginale del Senato per quanto riguarda la coniazione di moneta.

La svolta iconografica si ha con il regno di Teodato, quando cioè si opera una rottura con l’impero d’Oriente. Al dritto, d’ora in poi, appare il ritratto del re goto, rappresentato con gli attributi del potere regale e con il tipico copricapo. Tale consuetudine proseguirà fino al regno di Baduila, che si fa rappresentare con il busto completamente frontale, sul modello delle emissioni bizantine. Il nummo, ridotto nel peso e nelle dimensioni rispetto agli inizi del V secolo, è ormai una moneta teorica. Al suo posto viene coniato un nominale da 2,5 nummi, con al dritto il ritratto dell’imperatore e al rovescio il monogramma del re (cfr. Arslan, E. A., ‘Problemi ponderali di V secolo: verso la riforma del nummus. Il deposito di Cafarnao” in “Revue Numismatique” 159, 2003, pp. 27-39).

A sinistra, follis di Teodato; a destra, moneta da 2,5 nummi di Atalarico

Durante il periodo della guerra gotica, i nominali emessi a nome dell’autorità bizantina, non lo sono più in nome dell’imperatore regnante (ovvero Giustiniano, con cui era in atto il conflitto), ma a nome di Anastasio, colui che legittimò il governo ostrogoto in Italia. Il lasso di tempo in cui gli Ostrogoti, almeno fino a Teodato, regnarono in Italia rappresenta, a dispetto di quanto si possa generalmente ritenere, un periodo di rinascita artistica, commerciale e politica per la penisola.

Teodorico manifestò fin da subito il desiderio di governare l’Italia in armonia con la popolazione romana, dividendo però le responsabilità amministrative, gestite dai Romani, tra cui ricordiamo Cassiodoro, da quelle militari, appannaggio esclusivo dei capi militari goti. In campo legislativo emise il noto “Edictum Theodoricis Regis”, di chiara ispirazione romana, che regolava le dispute dei romani e dei goti. In politica estera strinse accordi e si unì con le famiglie reali dei regni romano-barbarici d’Occidente, come quello dei Visigoti, dei Franchi, dei Vandali, espandendo, in qualche caso i propri domini, conquistando la Provenza o la città di Sirmio, un tempo sotto la giurisdizione dell’antica prefettura d’Italia.

I rapporti con l’impero d’Oriente furono spesso tesi, quasi fin da subito, soprattutto per questioni religiose, ma una lettera di Teodorico inviata all’imperatore Anastasio ci dimostra la volontà del re di superare le divergenze: “La nostra regalità è un’imitazione della vostra, modellata sui vostri buoni propositi, una copia dell’unico impero; e dal momento che vi seguiamo, eccelliamo sulle altre nazioni. Spesso mi avete costretto ad amare il Senato, per accettare cordialmente le leggi dei passati imperatori, per fonderci in una cosa unica con tutto il resto d’Italia” (cfr. Cassiodoro, “Lettera di Teodorico ad Anastasio”, Variae I. 1).

Nummo di Giustiniano I dal tesoretto di Tor San Lorenzo

Il processo di unificazione tra popolazione romana e gota era già avviato, per quanto una parte del popolo goto mostrasse riluttanza in tal senso. Le sepolture gote del periodo in esame, mostrano una sostanziale differenza, nel corredo, rispetto alle stesse di quando i Goti ancora si trovavano al di fuori della penisola. Esse mostrano, infatti, perlopiù, una generale omologazione alle modalità di sepoltura in uso in Italia.

La stessa Amalasunta, figlia di Teodorico, ricevette un’educazione romana, come romana fu quella che essa desiderava ricevesse il figlio Atalarico, nonostante le rimostranze di una parte della popolazione gota, che esigeva una educazione militare per il giovane re. Ad ogni modo, gli equilibri saltarono di lì a poco, con lo scoppio della guerra cosidettà greco-gotica. L’invasione di Giustiniano della penisola italiana non solo interruppe quel processo di unificazione tra le due popolazioni, romana e gota, ma diede origine ad un conflitto che ha recato devastazione su tutto il territorio: il prezzo più alto fu pagato dagli abitanti dell’Italia, ridotti nel numero e drammaticamente impoveriti. La successiva pesante tassazione imposta dal governo bizantino non portò altro che ad un aggravamento, se possibile, della situazione.

La storia del regno Ostrogoto è quindi anche la nostra storia e, come tale, merita di essere rappresentata adeguatamente in una mostra che metta in evidenza i diversi aspetti di questa cultura, nel nostro caso quello numismatico. Quella ostrogota è una monetazione complessa e articolata, come abbiamo visto, e si cercherà di esplicarla adeguatamente, nel suo insieme, nella mostra di prossima inaugurazione, che sarà anche un esempio di virtuosa collaborazione tra Istituzioni, studiosi e privati.

Il Museo dell’Alto Medioevo, diretto da Stefania Panella, location perfetta, che tra i tanti “gioielli” vanta il famoso “opus sectile” proveniente dagli scavi di Porta Marina di Ostia, metterà a disposizione i suoi locali per ospitare il materiale da esibire. Fulcro dell’intero progetto, come detto, sarà il tesoretto numismatico di 700 minimi, studiato nei mesi scorsi dagli esperti della Moruzzi Numismatica: il capo progetto Francesca Barenghi, Fabio Scatolini, Claudia Maresca e Umberto Moruzzi.

Lo studio si è concentrato sia sulla classificazione, ove lo stato di conservazione lo ha permesso, di ciascuno dei nummi che compongono il tesoretto, sia sulla messa in relazione di questo ripostiglio monetale con gli altri noti, rilevandone tutte le implicazioni. I risultati dello studio verranno pubblicati in un catalogo, curato dalla Moruzzi Numismatica, in cui saranno presenti anche le immagini di tutte le monete del tesoretto, a colori e con alcuni ingrandimenti per i pezzi più importanti, come ad esempio un nummo di Giustiniano I con monogramma, di zecca incerta, con al dritto il busto a sinistra, probabilmente inedito per la tipologia o quantomeno molto, molto raro.