FRA TRADIZIONE E PROPAGANDA, SEGNI DELLA DEVOZIONE RELIGIOSA DI UN GIOVANE IMPERATORE

Solo nel 219 d.C. l’imperatore e la sua famiglia giunsero a Roma, la cui aristocrazia dovette accogliere passivamente i grandi onori tributati dal giovane alle due donne, le quali, si può dire, detennero un potere più reale che nominale, soprattutto nei primi anni di governo. I suoi provvedimenti a Roma ruotarono tutti intorno alla questione religiosa. In anticipo sui tempi, Eliogabalo voleva, con gesto incauto e, per certi versi, irruento, forse ascrivibile al suo giovane temperamento, sostituire il dio solare ad ogni forma di devozione tradizionale del pantheon olimpio romano. El-gabal, infatti, fu assimilato, a partire dall’anno successivo, il 220, al padre di tutti gli dei, Giove, una tra le divinità più importanti del mondo classico. L’assimilazione non fu drastica, ma risultò comunque sgradita ai Romani, aperti sì ai culti stranieri, ma insofferenti alle “prepotenze” religiose del giovane sovrano. Nonostante l’esito negativo risultato dai suoi primi interventi, Eliogabalo non si scoraggiò, anzi, fu ancora più determinato nel portare a compimento la sua missione sacra. Purtroppo, però, i suoi successivi passi furono ancora più devastanti dei primi: al posto del tempio di Giove, sul Palatino, uno dei luoghi più sacri ed importanti dell’Urbe, egli fece innalzare, in piccolo, un tempio dedicato ad El-gabal, sulla falsariga di quello che svettava sulla sua città, Emesa. Inoltre, sempre nello stesso anno, Eliogabalo infranse uno dei tabù più antichi di Roma, unendosi per la seconda volta in matrimonio (dopo aver divorziato dalla prima moglie, Giulia Paola) con una vestale: Giulia Aquilia Severa. Le Vestali, com’è risaputo, dovevano rispettare un rigoroso voto di castità, pena la morte, sia per le sacerdotesse che per il loro eventuale compagno.

005Denario in argento della zecca di Antiochia (R.I.C. 195) databile al 219 d.C. E’ sicuramente una delle emissioni più caratteristiche di questo sovrano, non solo per la sua discreta rarità, ma anche per la rappresentazione, al R/, del betilo solare di Emesa trainato in processione solenne (source: Gemini VIII,  lot 391) 


E’ comprensibile che tale unione non solo rappresentava un unicum nel mondo romano, ma scardinava dalle fondamenta le usanze religiose più salde di questo antico impero. E forse fu proprio per questo motivo che Eliogabalo compì un tale passo (falso): la popolazione romana rimase inorridita da un tale matrimonio sacrilego, ma per il gran sacerdote di El-gabal rappresentava l’occasione giusta per assestare uno scossone alla religiosità romana tradizionale. Per di più, con questo atto, l’Imperatore intendeva combinare un’unione mistica, coniugando il dio Sole, nella sua persona, con l’essenza femminile che animava la stessa città di Roma. Infatti, le Vestali custodivano ed alimentavano il fuoco sacro della dea che, per il bene della stessa città, non si doveva mai estinguere. Ecco che in questo modo Eliogabalo vuole sì preparare la strada al culto solare, ma desiderava altresì controllare dal profondo l’ancestrale sentimento religioso romano per dominarlo e vincerlo. Non a caso, l’Imperatore si unì anche dopo il divorzio, una seconda volta, con Aquilia Severa (di cui perdiamo le tracce dopo la morte del marito, nel 222 d.C.). Importanza capitale assumono così i mezzi di propaganda che l’autorità imperiale adopera per diffondere il proprio messaggio religioso. Da questo punto di vista essenziali sono anche e soprattutto i piccoli tondelli di aurei e denari, i quali supportano, accanto ad iconografie più tradizionali, immagini di processioni che hanno come protagonista il betilo solare o celebrano lo stesso Eliogabalo come suo sacerdote, intento ad officiare i riti. Grazie a queste piccole testimonianze è per noi oggi più semplice riuscire a penetrare nell’ottica religiosa di questo imperatore, che sarebbe troppo riduttivo liquidare come malsano e folle.

Forse un tale giudizio poteva essere formulato già dai suoi contemporanei più conservatori, inorriditi dai suoi atti. In definitva, con essi Eliogabalo voleva solo smantellare, per ridargli nuova vita sotto una luce nuova, un mondo divenuto ipocrita e ormai vuoto che, inevitabilmente, era destinato ad una lenta e progressiva decadenza. Senonché i disegni politici e religiosi del Nostro si rivelarono semplicemente in anticipo sui tempi e quindi ostacolati e denigrati come insulsi e pericolosi per la virtus romana, poiché dissoluti e, per usare un termine più attuale, “anticonformisti”. Comunque, il regno di Eliogabalo fu troppo breve e privo di eventi eclatanti per la più generale storia dell’Impero, ma, in questa sede, gli è riconosciuto senz’altro il merito di aver capeggiato una sorta di rivoluzione che fece tremare lo Stato romano dalle sue stesse fondamenta. Particolare importanza per il nostro studio ricoprono alcune coniazioni fatte eseguire da Eliogabalo illustrate in queste pagine e che, come detto, sono oggi testimonianza esplicita del culto peculiare del nuovo imperatore.