La difficile moneta di Galla Placidia

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Sul solido di Galla Placidia legende e simboli di interpretazione incerta.

Di Carlo Barzan. Galla Placidia ebbe una vita tribolata in un impero romano al crepuscolo, di cui visse la divisione di Occidente e Oriente. Le frontiere erano oggetto di forti pressioni da parte dei popoli barbarici, alcuni dei quali avevano avuto il permesso di stanziarsi entro i confini dell’impero dal padre di Galla Placidia, Teodosio I, che aveva messo fuori legge i culti pagani. La futura imperatrice pagò di persona le tensioni con i popoli confinanti, venendo rapita nel 410 dal re visigoto Alarico durante il sacco di Roma e finendo in sposa al cognato Ataulfo. Alla morte di Ataulfo, il nobile visigoto Wallia la restituì al fratello Onorio. Che la costrinse a sposare il patrizio Costanzo, poi incoronato imperatore come Costanzo III. Da lui ebbe Galla Placidia due figli. Alla morte di Costanzo III, nel 421, per i forti contrasti con Onorio, decise di fuggire con i figli a Costantinopoli, ormai capitale di un impero separato. Solo alla morte di Onorio tornò in Occidente, a Ravenna. Nel 425 il figlio fu proclamato imperatore con il nome di Valentiniano III ma, essendo ancora minorenne, Galla Placidia esercitò le funzioni di reggente.

Proprio agli anni 426-430 risale un solido di difficile interpretazione. Sul diritto l’effigie di Galla Placidia è piena di simbolismi. È raffigurata nella pienezza del busto che guarda verso destra, con un ricco drappeggio sul quale spicca sulla spalla destra un cristogramma. La testa è ornata da un diadema, composto da un doppio filo di perle fermato in alto da una rosetta e con quattro nastri pendenti dietro la nuca. I capelli sono elaborati sul davanti in una fitta ondulazione  e raccolti in una grossa treccia riportata dalla nuca alla sommità del capo; all’orecchio un pendente di non grandi dimensioni e al collo due fili di perle. Sopra la testa, interrompendo la legenda, una mano celeste, la manus Dei, si appresta a incoronarla. Nella legenda Galla Placidia è definita d(omina) n(ostra) p(ia) f(elix) avg(usta), ‘nostra signora pia felice augusta’, con un accenno di tipo religioso coerente con l’incoronazione divina di cui è oggetto nella raffigurazione. Si tratta di una concezione del potere lontanissima da quella romana classica – legata alle tradizioni guerriere del periodo repubblicano – un’ulteriore evoluzione in senso cristiano del carattere di monarchia orientale che oltre un secolo prima Diocleziano aveva voluto dare all’impero. Ciò aveva comportato modifiche nella titolatura imperiale, dalla quale, ad esempio, era scomparso il termine imperator, troppo legato al solo aspetto militare del comando, mentre era stato mantenuto augustus, più nel suo significato originario di ‘sacro’ e ‘venerabile’. Analoga evoluzione avevano subito gli appellativi tipici di ‘pia’ e ‘felice’, femminilizzazione degli analoghi appellativi maschili, ancora utilizzati, ma con un significato sempre più coerente con i valori della religione cristiana, man mano che i andavano prevalendo nella civiltà romana.

Complessa e di interpretazione incerta anche la legenda del rovescio: vot(is) XX (vicennalibus) mvlt(is) XXX (tricennalibus), ‘Nei vent’anni, che diventino trenta’. Allude a una celebrazione pubblica per festeggiare un anniversario ventennale relativo a Galla Placidia o alla sua famiglia, nella quale venivano anche formulati voti per molte analoghe celebrazioni future e in particolare quella dei trent’anni. Quale sia l’anniversario che la moneta celebra non è purtroppo noto, anche se la raffigurazione a cui è abbinata potrebbe lasciare supporre che si tratti dell’anniversario di un qualche evento bellico favorevole alle armi romane. La raffigurazione consiste infatti nella Vittoria alata stante a sinistra, che tiene con la mano destra una lunga croce riccamente ornata di pietre preziose, con una stella nel campo in alto leggermente a sinistra.

E dubbia anche, fin dalla fine del Settecento, la lettura dell’esergo: com(es avri) (avrvm) ob(ryzvm), ‘autorità dell’oro – oro purissimo’.  Secondo l’interpretazione più recente, si tratterebbe di un marchio di garanzia della purezza dell’oro utilizzato per coniare la moneta.

L’esame del rovescio si completa con le lettere R e V che compaiono nel campo, rispettivamente a sinistra e a destra: sono l’abbreviazione di Ravenna, nome della città dove la moneta fu coniata. È probabile che l’indicazione del luogo di produzione sulle monete, iniziata a partire dall’ultima parte del III secolo d.C., sia dovuta all’esigenza di tenere sotto controllo l’uniformità della produzione anche dal punto di vista della qualità, all’interno di un sistema di governo che andava fortemente decentralizzandosi.

Galla Placidia morì una ventina di anni dopo la coniazione della moneta. Al tempo dell’assassinio del figlio, per mano di congiurati, Galla Placidia era già morta e sepolta nel mausoleo imperiale di Roma. L’edificio a croce greca ornato da splendidi mosaici e noto come Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna fu forse voluto da lei ma, contrariamente a quanto molti pensano, non ne ospita le spoglie.