EDITORIALE: NEL MONDO DELLE “GOOGLE COINS” C’E’ ANCORA POSTO PER L’ARTE?

documents-button(di Roberto Ganganelli) | C’era una volta il creatore di monete, l’artista del gesso e del bulino che riceveva da un committente istituzionale o da una zecca il compito, tutt’altro che semplice, di creare dei conii capaci di comunicare al tempo stesso, in un piccolo tondello metallico, il valore del denaro, il prestigio di una nazione, la ricorrenza di un evento storico. C’erano una volta ad esempio, tanto per restare in ambito italiano, Egidio Boninsegna e Attilio Motti, Giuseppe Romagnoli e Filippo Speranza, quelli delle aquile araldiche di Savoia e delle aratrici, delle quadrighe al galoppo e della Vetta d’Italia, ma anche della semplicissima ed elegante spiga dei 5 centesimi di Vittorio Emanuele III o dell’Italia con littore delle 20 lire in argento.

Artisti che, nella maggior parte dei casi, oltre ad essere valenti modellatori e/o incisori erano persone di grande cultura, che si affidavano alle biblioteche e ai musei, agli studi compiuti in decenni di applicazione e ad una quasi sterminata dote di fantasia per coniugare antico e moderno, conferendo solennità anche alla moneta più “vile” – non parliamo delle grandi commemorative – e restituendo, attraverso la numismatica di circolazione e celebrativa – la Bellezza e l’Emozione.

Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata molta e non me ne voglia Google, il colosso informatico di Mountain View che ha rivoluzionato il nostro modo di cercare e trovare le informazioni su Internet, ma specie negli ultimi non ho potuto fare a meno di notare, sempre più spesso, come un certo numero di monete per collezionisti che vengono emesse in giro per il mondo non siano affatto originali, nei loro soggetti come nella composizione, e questo perché il cambiamento culturale che la rete sta provocando ha portato più di un bozzettista – o “coin designer”, come si dice da qualche anno – a rivolgersi, come fonte primaria per iconografie e simbologie, a ciò che si può reperire attraverso i motori di ricerca.

Di fronte, ad esempio, ad un evento storico dell’ultimo secolo e mezzo circa basta digitare su Google (o analoghi motori web) qualche parola chiave, magari in inglese, per vedersi scorrere di fronte agli occhi migliaia di immagini fotografiche, più o meno attinenti e interessanti, spesso ripetitive e banali. Lo stesso avviene per architetture, personaggi famosi ed opere d’arte. Il problema non è tanto la “citazione” di immagini reperite online, quando il vero e proprio “copia-incolla” che in molti casi si ravvisa passando dalle foto più “cliccate” relative un certo soggetto – ad esempio, un palazzo storico – alla loro trasposizione sul tondello. Stesse inquadrature, identica prospettiva, medesimi dettagli al punto da rendere la creazione della moneta una sorta di “collage” senz’anima né personalità.

Esistono, beninteso, le eccezioni positive, e sono ancora moltissime sia tra i tre paesi dell’area italiana che nel resto dell’Eurozona e del mondo; paradossalmente, tuttavia, sono alcune delle nazioni più piccole o meno “sviluppate” rispetto alla cultura digitale – comprese alcune di quelle rette dalle cosiddette “dittature morbide” – a risultare spesso più originali, più simboliche, più efficaci nel loro modo di trasporre in moneta luoghi, personaggi e celebrazioni. Ogni moneta, per quanti vincoli possa ricevere – in termini di forma e di sostanza – da parte dell’autorità che la emette, nasce infatti prima di tutto dalla mente, dal cuore, dalle mani di un uomo (leggi, un artista), che non deve mai abdicare alle scorciatoie della tecnologia nel momento in cui esprime idee, concetti, frammenti di storia e di civiltà nel metallo. Per una semplice ragione: ognuno di quei tondelli, almeno potenzialmente, a differenza della rete delle reti è eterno.