Teche GdN: ESPERIMENTI PER LE PRIME MONETE
DEL REGNO, I 10 CENTESIMI “COLLO LUNGO”

(di Michele Cappellari, Matteo Rongo e Giovanni Battista Vigna | dal “GdN” n. 22 di novembre 2013, pp. 26-35) | Il cosiddetto 10 centesimi esperimento “collo lungo” rappresenta da anni motivo di contesa tra i numismatici. Si tratta di una coniazione interessante, collocata in un particolare momento storico, immediatamente successivo alla nascita del Regno d’Italia e gravato da problemi sociali, economici e amministrativi di particolare rilievo. Contrariamente a molti progetti coevi, la presenza di un ritratto di Vittorio Emanuele II ben proporzionato e simile a quello presente nella monetazione del Regno di Sardegna e del Re eletto di pochi anni prima, unitamente al titolo di re d’Italia e al valore monetario esplicitato, lo hanno reso una tipologia controversa. E’ stato perciò definito “moneta” da taluni, nonostante manchi di un chiaro decreto di emissione, da altri “progetto” (tra di essi Vittorio Emanuele III nel “Corpus”), e infine, ancora, un “esperimento di circolazione monetaria per le Province Napoletane” (Fig. 1).

1 – Il 10 centesimi esperimento 1862 (mm 30), un saggio discusso e conteso (ex asta Negrini, Coll. Rocca, poi Varesi 55, Coll. De Micheli)

Di recente, uno degli autori del presente articolo ha pubblicato un saggio [[i]] basato su evidenze della letteratura numismatica e sul riesame della legislazione, evidenziando come il tondello in oggetto non debba essere considerato una moneta ma un esperimento di zecca (d’altra parte la stessa dicitura ESPERIMENTO, al posto della firma dell’incisore e il peso calante, g 9,80 invece di g 10,00, corretti, sembrano fornire chiare indicazioni al riguardo). Si rimanda a tale lavoro per un approfondimento dei vari aspetti, mentre se ne sottolineano in questa sede alcune conclusioni interlocutorie: 1) è da scartare l’ipotesi di autori come Cagiati [[ii]] che indicano il pezzo da 10 centesimi come un esperimento di circolazione per le popolazioni meridionali; 2) l’attribuzione della coniazione alla zecca di Napoli è arbitraria. Proprio quest’ultimo punto rappresenta l’argomento principale del presente articolo, che intende vagliare gli argomenti a favore di una nuova attribuzione per il 10 centesimi “collo lungo”, incentrandosi su raffronti di stile e di eventi. Tuttavia, l’esame dei documenti rinvenuti nel corso di questa indagine ha permesso di ampliare l’orizzonte dei propositi iniziali e contribuire ad un approfondimento sull’attività di alcune zecche italiane nei primi mesi successivi alla nascita del nuovo Regno.

GLI “ESPERIMENTI” NELLE ZECCHE ITALIANE | Nell’ambito degli studi per la monetazione metallica del Regno d’Italia, i tondelli “esperimento” costituiscono una peculiare produzione riscontrabile su coniazioni effettuate unicamente nelle zecche di Bologna e di Milano e sono caratterizzati dal millesimo 1860 o sono privi di data. Esaminando la letteratura che ha studiato queste produzioni [[iii], [iv], [v], [vi], [vii]], si sono complessivamente reperiti 15 tondelli di certa attribuzione emessi dalle zecche di Bologna (11) e Milano (4), recanti la denominazione di “esperimento”. Si riportano di seguito le coniazioni classificate in rapporto al classico lavoro di Antonio Pagani, integrato da altri contributi.

2 – Bologna, esperimenti nn. 1, 3, 4, 5 (Pagani, nn. 42-45). Ex asta Negrini 37, nn. 1104-1107

3 – Bologna, esperimenti n. 9 (Pagani, n. 52) e n. 11 (Pagani, n. 54). Ex asta Negrini 37, n. 1108 e ex asta InAsta 32, n. 1443

Per la zecca di Bologna | (1) 40 centesimi, esperimento bimetallico (Ag-Br), peso g 4,68-4,95. mm 19-21, contorno rigato: D/ nel campo scudo Savoia nel tondino d’argento; intorno, nella corona di rame *ESPERIMENTO* e sotto BOLOGNA, R/ nel campo, sul tondino d’argento la cifra 40; intorno, nella corona di rame, *CENTESIMI* e sotto 1860 (Pagani, 42) (Fig. 2); (2) idem ma tondello monometallico in Br (Pagani, 43); (3) idem ma recante al R/ inciso il numero 5 (forse numero di controllo?) (Pagani, manca) (Fig. 2); (4) 20 centesimi, esperimento bimetallico (Ag/Br), peso g 2,72-2,89, mm 18-19, contorno rigato: D/ nel campo scudo sabaudo nel tondino d’argento; intorno, nella corona di rame *ESPERIMENTO* e sotto BOLOGNA, R/ nel campo, sul tondino d’argento la cifra 20; intorno, nella corona di rame, *CENTESIMI* e sotto 1860; contorno rigato (Pagani, 44) (Fig. 2); (5) idem ma con al D/ leone rampante a sinistra in luogo dello stemma sabaudo, peso gr 2,43-2,50, mm 19, contorno liscio (Pagani, 45) (Fig. 2); (6) idem ma monometallica in Br, peso g 2,69 (Pagani, 46); (7) senza valore, esperimento bimetallico (Ar/Br), peso g 2,50, mm 19, contorno liscio: D/ *ESPERIMENTO* BOLOGNA* e leone rampante, R/ *ESPERIMENTO* BOLOGNA* e stemma sabaudo (ibrido ottenuto dai dritti dei tipi 4 e 5 precedenti) (Pagani, 47); (8) senza valore, esperimento (Cu/Ni), peso g 4,33, mm 21, contorno liscio (rigato): D/ nel campo scudo sabaudo entro corona di perline, intorno *ESPERIMENTO* e sotto BOLOGNA, R/ tra due rami d’alloro N 4 inciso nel campo (Pagani, 48 e 49); (9) idem ma al R/ tra due rami d’alloro inciso N:5 (Pagani, 50) (Fig. 3); (10) idem ma al R/ tra due rami d’alloro inciso N 6 (Pagani, 51); (11) idem ma al R/ tra due rami d’alloro inciso S.4 (Pagani, 52) (Fig. 3). Le scritte N 4, N:5, N 6 e S.4 fanno riferimento a diverse composizioni della lega rame-nichel del tondello.

4 – Progetti di monetazione in bronzo del 1860, zecca Torino: (1) saggio, g 4,92, mm 25, Pagani PP76, ex asta Nomisma 45; (2) saggio, g 4,74, mm 25, Pagani PP81, ex asta Nomisma 45; (3) saggio, g 4,90, mm 27), Pagani 83, ex asta Stack’s 2008. Si notino i rami di alloro (sinistra) e quercia (destra), identici nei tipi 1, 2 e 3 che hanno fatto attribuire dal Lanfranco gli ultimi due alla zecca di Torino (mentre il Corpus li riferiva a Bologna)

Per la zecca di Milano | (1) Senza valore, esperimento (Cu/Ni 750/250), peso g 4,57, mm 23, contorno liscio: D/ biscione visconteo entro ramo di quercia (a destra) e alloro (a sinistra) e sotto il millesimo 1860, R/ la parola ESPERIMENTO fra rami di quercia (Pagani, 57); (2) idem ma in Br (Cu/Sn 950/50), peso g 5,15, mm 23 (Pagani, 58); (3) senza valore, esperimento in Br (Cu/Sn 960/40), peso g 5,84, mm 23: D/ 1860 entro rami di alloro, R/ la parola ESPERIMENTO fra rami di quercia (Pagani, 61); (4) idem in Br (Cu/Sn 950/50), peso g 6,05, mm 23: D/ 1860 entro ramo di quercia e alloro, R/ la parola ESPERIMENTO entro ramo di quercia e alloro (Pagani, 62).

E’ verosimile che tali studi di monetazione rappresentino veri e propri esperimenti tecnici, in rapporto al bimetallismo di taluni o alla particolare lega (rame/nichel in varia percentuale) e dimensioni degli altri [6]. Tale caratteristica non sembra invece applicabile al 10 centesimi esperimento “collo lungo”, nonostante l’ipotizzata funzione di “esperimento di circolazione” che qualche autore ha arbitrariamente considerato. D’altra parte non appare chiaro se la dizione ESPERIMENTO rappresenti un termine ricercato oppure, una parola alternativa e parzialmente coincidente a quella di SAGGIO, più spesso utilizzata nella monetazione di prova.

L’ATTRIBUZIONE SECONDO GLI STUDI | La letteratura numismatica ha attribuito la paternità del tondello alla zecca di Napoli e ciò pur in assenza di riscontri che ne confermassero tale provenienza. Dapprima fu Alfredo Federico Marchisio a ricondurre a Napoli la produzione del nostro esperimento, in un lapidario commento alla sua descrizione: “Una sola prova, che ritengo assai rara, mi è nota della zecca di Napoli; eccone la descrizione: Rame (Tav. X, n.14). D [omissis]. R [omissis]. Diametro, mill. 30. Peso, gr. 9.750.” [[viii]]. Sulla scia del Marchisio, anche il I Volume del “Corpus”, pubblicato nel 1910 [[ix]], catalogò il tondello fra le prove e progetti della zecca di Napoli.

Nel periodo immediatamente successivo alla I guerra mondiale, Memmo Cagiati commentò: “[…] parecchi esemplari da me visti dimostrano tutti di essere stati molto in circolazione, cosa che non accade di solito ai saggi, e così la parola ESPERIMENTO, che si trova sotto la testa del Re, mi fa credere che non debba trattarsi di una prova di zecca ma di esperimento di una nuova valuta per le popolazioni meridionali, abituate ad avere ancora tra mano nel 1862 altra specie metallica, del passato governo, non di sistema decimale” [2]. Tuttavia, negli anni ’50 del secolo scorso, grazie agli studi del numismatico campano Federico Guerrini, che approfondirà per la prima volta la ricerca, si evidenziò come non vi fosse alcuna evidenza certa che consentisse di attribuire alla zecca partenopea la produzione dell’esperimento [[x]]. Scrisse dunque: “Fra i documenti esistenti presso l’Archivio di Stato di Napoli non ho trovato alcuna notizia; né ho trovato notizia del conio nel catalogo del Fiorelli. Come si sa i coni esistenti presso l’ex-zecca di Napoli furono versati al Museo Nazionale, ed il Fiorelli ne pubblicò un elenco […]”. Ciò però non indusse lo stesso Guerrini a valutare la natura del tondello con prudenza simile a quella utilizzata per la provenienza dello stesso, ritenendo, in accordo alla “verità affermata dal Cagiati”, che si trattasse di “una vera e propria moneta proposta ed esperimentata nelle provincie meridionali e che abbia circolato regolarmente”. La frase conclusiva di questo lavoro risulta poi particolarmente significativa: “Che se poi l’abbia coniata la zecca di Napoli o qualche altra zecca questo non ha importanza, e può formare se mai oggetto di studio per qualche altro più fortunato di me in ricerche di archivio”.

5 – Impronte delle nuove monete da 5, 2 e 1 centesimo dal Regio decreto n. 114 del 17 luglio 1861

In accordo con tali autori si pose Luigi Simonetti [6], che sottolineò come la zecca di Napoli non si fosse “mai dedicata alla realizzazione di nuovi tipi di monete, che per prassi erano di pertinenza delle zecche di Torino, Milano e Bologna”, oltre a ribadire come “diecine” di esemplari da lui esaminati siano stati “evidentemente in circolazione” causa la forte usura riscontrata. Forse per giustificare questa indimostrata finalità di esperimento di circolazione, che però mal si conciliava con la presenza sul mercato di un tondello tanto raro da essere considerato R3 o R4, su qualche testo di natura commerciale cominciò a riportarsi anche un contingente di 20.000 esemplari emessi, di cui non si è trovata alcuna conferma.

Contro una “origine partenopea” del nostro esperimento starebbe anche un forte ridimensionamento della corrispondente attività di zecca alla nascita del nuovo Regno, contestuale alla riduzione del personale, argomento che anche il Guerrini analizza nel suo lavoro già ampiamente citato [10]. A ciò tuttavia si contrappone una esternalizzazione delle commissioni con la stipula di un accordo tra la zecca di Napoli e la ditta francese “Estivant fratelli per la coniazione di 12 milioni di lire italiane in monete da 1, 2 e 5 centesimi sulle basi del capitolato per la monetazione in bronzo, dal Governo centrale già prima iniziata presso la zecca di Milano” [[xi]]. Non si può pertanto escludere a priori che tale ditta appaltatrice possa essersi fatta carico anche di eventuali progetti monetari [[xii]], ma ci pare del tutto improbabile.

ANALISI E ATTRIBUZIONI ALTERNATIVE | Il dritto del tondello | Il D/ in esame reca il ritratto di V.E. II rivolto a destra, circondato dalla legenda, procedente in senso orario, VITTORIO EMANUELE II RE D’ITALIA, con origine a ore 7 e termine a ore 5; nello spazio fra l’inizio e la fine della legenda, sotto il taglio del collo, è incisa la parola ESPERIMENTO, riportata in senso antiorario. Il ritratto del sovrano è quello adottato per la monetazione di Vittorio Emanuele II re di Sardegna e re Eletto, convenzionalmente definito “collo lungo”.

Per la monetazione del Regno d’Italia non venne più utilizzato il ritratto con il “collo lungo”; inoltre, nelle monete in bronzo da centesimi dieci, cinque, due ed uno, destinate alla circolazione, il nuovo ritratto del Sovrano è rivolto sempre a sinistra. Comparando i tondelli coniati dalla zecca di Bologna e Milano recanti l’indicazione “esperimento”, non è stato rintracciato alcun esemplare che esponga lo stesso ritratto del tondello in esame, mentre è opportuno segnalare una impronta corrispondente è utilizzata invece per alcuni “saggi di bronzo” con millesimo 1860, attribuiti alla Zecca di Torino, e precisamente:

(1) tondello senza valore in Br (Cu/St 960/40), peso g 4,66, mm 25, contorno liscio: D/ testa del sovrano (collo lungo) volta a destra; lungo il bordo, circolarmente, VITTORIO EMANUELE II; R/ nel campo, SAGGIO DI BRONZO e 1860 all’interno di un ramo di quercia (a destra) e di alloro (a sinistra) (Pagani, 80); (2) idem ma in diversa lega di Br (Cu/St 950/50), peso g 4,85, mm 25 (Pagani, 81) (Fig. 4,2); (3) tondello senza valore in lega di Cu/Ni (960/40), peso g 4,66, mm 25, contorno liscio: D/ testa del sovrano (collo lungo) volta a destra; lungo il bordo, circolarmente, VITTORIO EMANUELE II, R/ nel campo, SAGGIO DI RAME E NICHEL e 1860 all’interno di un ramo di quercia (a destra) e di alloro (a sinistra) (Pagani, 82); (4) idem ma in Cu/Ni (950/50), peso g 5, mm 25 (Pagani, 83) (Fig. 4,3). Si deve rilevare come questi esemplari siano stati attribuiti alla zecca di Bologna dal “Corpus” [9] e dal Marchisio [8], mentre il Lanfranco [[xiii]] ed il Pagani [3] li assegnino a quella di Torino.

Il rovescio del tondello | Il R/ in esame reca, su tre righe, il valore ed il millesimo (10 | CENTESIMI | 1862) il tutto entro due rami di alloro costituiti da sei gruppi di foglie, legati in basso con un nastro la cui parte superiore è formata da due fiocchi adiacenti a forma di cuore, mentre le parti terminali del nastro presentano una doppia punta rivolta verso l’interno e asimmetrica. Il ramo di alloro di sinistra mostra nove bacche mentre quello di destra ne presenta undici. Alla base, i rami di alloro sono legati insieme dal nastro e presentano le estremità appuntite e divergenti.

La disposizione del tondello, le dimensioni (mm 30), il tipo di carattere del valore e del millesimo sono simili a quelli che presentano le monete da centesimi dieci coniate per la circolazione e battute per la prima volta in forza del Regio decreto n. 737 del 6 agosto 1862. Il peso se ne discosta lievemente (g 9,80 contro g 10,00). Differiscono invece gli altri motivi artistici, per i seguenti particolari: (1) i rami: la moneta destinata alla circolazione presenta un ramo d’alloro a cinque gruppi di foglie a sinistra ed un ramo di quercia, anch’esso a cinque gruppi di foglie, a destra. Le estremità non presentano la parte finale appuntite ma riproducono il ramo reciso; (2) il nastro: il nastro inciso nella moneta per la circolazione presenta anch’esso due fiocchi adiacenti a forma di cuore ma di dimensioni inferiori. Le estremità del nastro sono simmetriche e rivolte verso il basso; (3) la moneta da dieci centesimi presenta inoltre a ore 12 una stella raggiante a cinque punte e ad ore 6 il simbolo di zecca.

L’utilizzo del ritratto del sovrano con il “collo lungo” al D/ e con i due rami di alloro al R/, che rispettava le prescrizioni normative vigenti nel corso degli anni 1859 e 1860, non è più conforme a seguito dell’approvazione del Regio decreto n. 114 del 17 luglio 1861, che conferisce il corso legale alle nuove monete in rame da centesimi 5, 2 ed 1 ed a cui è allegato il disegno recante le specifiche artistico-tecniche delle nuove impronte.

SE NON NAPOLI, QUALE ZECCA? | Torino | Tralasciando la teoria che vorrebbe tale tondello emesso quale esperimento per la circolazione nelle difficili province meridionali, appare arduo comprendere quali ragioni avrebbero indotto questa zecca a fabbricare, con il millesimo 1862, un “esperimento” monetale (un “unicum” nella produzione premonetale della zecca piemontese, non essendo stati reperiti, come visto in precedenza, altri tondelli con tale denominazione) recante al D/ impronte ormai “fuori corso” ed al R/ una coppia di rami di alloro parimenti non conformi.

Dobbiamo tuttavia considerare attentamente come la preparazione dei nuovi conii fosse stata demandata proprio all’incisore capo della zecca piemontese – Giuseppe Ferraris – il quale doveva poi inviare alle zecche periferiche il materiale creatore delle nuove monete che era in corso di allestimento a Torino fin dal principio del 1861, secondo le impronte ufficialmente approvate (Fig. 5): dunque non conii di tipo “collo lungo” che rimanevano invece a disposizione nella zecca di Torino.

6 – Raffronto tra quattro coniazioni con impronta simile: (a) 2 lire Ag, Vittorio Emanuele II re di Sardegna, Torino 1850; (b) 2 lire Ag, Vittorio Emanuele II Re eletto, Bologna 1860; (c) saggio in bronzo (Pagani 81), Torino 1860; (d) esperimento da 10 centesimi 1862, zecca incerta. I ritratti sono visibilmente simili: in (c) ingrandimento di 1,2 volte rispetto ad (a), (b), e (d) per tener conto delle diverse dimensioni del ritratto. Ciò riconduce le matrici ad un unico incisore della zecca di Torino, Giuseppe Ferraris (indicato sotto il collo delle 2 lire con F. ma non nel saggio e nell’esperimento)

L’esame dell’immagine coniata del sovrano ci mostra come essa coincida (anche dimensionalmente) con quella presente nelle monete da 2 lire coniate nella zecca di Torino (e Genova) fin dal 1850 (Fig. 6). Abbiamo anche visto come i saggi in lega di rame e nichelio, che il “Corpus” ed il Marchisio attribuivano alla zecca di Bologna (e che il Lanfranco ed il Pagani hanno invece riassegnato a Torino), testimonierebbero come l’officina monetaria di Torino effettuasse, nel corso del 1860, produzioni premonetali in bronzo recanti il ritratto del sovrano caratterizzato dal “collo lungo” e con forti analogie al nostro tondello (ad esempio mancanti anch’esse del segno dell’incisore sotto il collo del sovrano).

Mario Lanfranco, discusso direttore della Regia zecca di Roma tra il 1910 e il 1929, commentò a proposito delle prove-progetti di Vittorio Emanuele II [13] “Le prove, gli esperimenti ed i saggi fatti nell’epoca sopracitatata [1859-1862, ndr] nelle Zecche di Torino, Milano, Bologna e Firenze si riferiscono quasi esclusivamente alle caratteristiche di peso, diametro e titolo o composizione chimica delle monete stesse – non alle impronte per le quali doveva provvedere esclusivamente la Zecca di Torino, il cui incisore Capo cav. Ferraris venne senz’altro incaricato di allestire i relativi punzoni […]”. Per tali motivi, in accordo alle impressioni già espresse dal Simonetti [6] e quantunque la zecca di Torino non abbia prodotto altre prove con la dicitura “Esperimento”, riteniamo di doverla includere tra quelle che potrebbero aver coniato il nostro tondello.

7 – Milano, esperimenti n. 12 (Pagani, n. 57) e n. 14 (Pagani, n. 61). Ex asta Negrini 37, n. 1109 e ex asta InAsta 30, n. 1172

Milano | I quattro tondelli prodotti da questa zecca (ma, secondo Crippa, l’esemplare classificato da Pagani al n. 62 sarebbe di dubbia esistenza [[xiv]]) recanti la denominazione “esperimento” appaiono essere differenti, sia per i motivi stilistici che per gli aspetti ponderali, dal tondello di cui ci stiamo occupando (Fig. 7). Si riscontrano, invero, alcune vaghe compatibilità stilistiche con l’esemplare classificato dal Pagani al n. 61 (Luppino PP42) che presenta al D/ due rami d’alloro che circondano il millesimo (1860). Va rilevato peraltro che quello milanese è un tondello pesante appena g 5,84 e con un diametro di mm 23, realizzato in lega di bronzo e nichelio ed il cui R/ reca due rami di quercia e la denominazione “esperimento” in posizione mediana ed arcuata rispetto al campo. Tutte queste caratteristiche lo collocano lontano dagli schemi stilistici e ponderali riscontrabili sul 10 centesimi esperimento 1862 “collo lungo”.

Ancor più distanti stilisticamente appaiono gli “esperimenti” della zecca di Milano che presentano, al D/, il biscione visconteo ed il millesimo circondati da un ramo di alloro e di quercia e, al R/, due rami di quercia con la denominazione “esperimento” posta al centro (Pagani nn. 57-58; Luppino PP40-PP41). Queste osservazioni ci portano ad escludere, quanto meno per la evidente mancanza di compatibilità stilistica e ponderale degli “esperimenti” realizzati, la zecca meneghina dalle possibili officine monetarie di produzione del nostro “esperimento”. Così come per la zecca di Torino, non ci risulta comunque siano state effettuate estensive ricerche d’archivio attinenti.

8 – Ghirlanda d’alloro in quattro diverse monete del periodo: (a) scudo di Pio IX, Bologna 1854; (b) 10 centesimi esperimento 1862; (c) 10 centesimi, Milano 1862; (d) saggio in bronzo, Torino 1860, Pagani PP81

Bologna | Numerosi elementi rendono plausibile l’attribuzione della paternità di coniazione del nostro tondello alla zecca felsinea. Una proposta in tal senso, quantunque poco confortata da adeguate giustificazioni, fu avanzata anche dai più volte citati Guerrini e Simonetti [6, 10]. Un primo argomento a sostegno di questa opinione è costituito dal numero di tondelli coniati da questa Zecca con la denominazione “esperimento” (ben undici esemplari, come riportato in apertura), sebbene vada subito osservato come non esistano anche in questo caso, così come già rilevato per Torino e Milano, significative concordanze stilistiche e ponderali fra i tondelli “esperimento” coniati da questa zecca ed il tondello in esame.

D’altro canto nel corso del 1860 la zecca di Bologna produsse, in virtù del Decreto del governatore delle Regie Provincie dell’Emilia n. 14 del 17 gennaio 1860, monete d’oro da 20 e 10 lire (millesimate 1860 ed incise da Donnino Bentelli) e d’argento da 5, 2, 1 e 0,50 lire (millesimate 1859 e 1860, ma tutte prodotte nel 1860) annoverate fra quelle della serie del Re eletto e recanti al D/ il ritratto del sovrano dal “collo lungo”. Dunque i conii che ritraevano il sovrano con il “collo lungo”, non solo erano nella disponibilità della zecca bolognese ma erano stati altresì ampiamente utilizzati per produrre le monete di Vittorio Emanuele II Re eletto (Fig. 6). Non sarebbe stato pertanto un problema utilizzarli anche per coniare un saggio, una prova o un esperimento per la nuova monetazione dello stesso come re d’Italia.

Secondo Malaguzzi Valeri, autore della monografia “La Zecca di Bologna” [[xv]], l’attività dell’officina monetaria bolognese degli anni 1860 e 1861 fu alquanto modesta. “I conii delle nuove monete vennero spediti dal direttore generale delle zecche, e a Bologna si coniò con metallo ricavato dalla fusione di monete fuori corso, specialmente francesconi, luigi ecc. L’incisore bolognese si limitò a sorvegliare i lavori di battitura insieme al ministro di zecca e a coniare medaglie commemorative per Bologna e per le città vicine e per istituti. Solamente per gli ultimi prodotti, gli esperimenti o prove di zecca del 1860 e ’61, piccole monete d’argento colla indicazione del valore, formanti un corpo solo entro un cerchio di rame, eseguì le impronte Francesco Maldini, ritoccate dal Bentelli.” [ibid., p. 143].

E’ tuttavia l’impronta del R/ del nostro tondello che manifesta sorprendenti analogie stilistiche con i conii pontifici già impiegati dalla zecca emiliana per la battitura di alcune monete a nome di Pio IX e, segnatamente, per lo scudo, per il 50 baiocchi (o 1/2 scudo) e per il 20 baiocchi del 2° tipo. Questi conii, impiegati attivamente fino al 1859, dovevano essere ancora presenti fra il materiale creatore custodito nel magazzino dell’officina monetaria o, quanto meno, costituivano ancora (al principio del 1860) un riferimento stilistico ben presente nelle produzioni della zecca di Bologna. Mettendo a confronto i due rovesci dell’esperimento e delle predette monete di Pio IX, si noterà come i conii espongano lo stesso gruppo di sei foglie nei rami di alloro e come anche lo stile dei rami e delle foglie sia fortemente rassomigliante (Fig. 8).

La principale obiezione che viene sollevata in ordine alla riconducibilità del nostro tondello alla zecca felsinea concerne il millesimo (1862), che sarebbe incompatibile con il periodo di operatività della zecca stessa. La zecca di Bologna doveva infatti essere chiusa definitivamente il 31 dicembre 1861, e ciò in forza del Regio decreto n. 39 del 23 maggio 1861 che ne aveva prorogata la chiusura, già disposta da altro Regio decreto (i n. 4.646 del 3 febbraio 1861) al 31 luglio 1861. La proroga della chiusura al 31 dicembre 1861 si rese necessaria in quanto alla zecca era stata affidata la battitura delle nuove monete in bronzo del Regno d’Italia da 5 centesimi, che non poteva essere portata a compimento rispettando l’iniziale termine del 31 luglio. Ma a ben vedere può essere proprio questa circostanza ad avvalorare la tesi che a battere il nostro esperimento sia stata proprio la zecca bolognese. E i motivi che suffragano questa tesi potrebbero essere quelli di seguito elencati.

Secondo il Marchisio [8, p. 206], la battitura della moneta da 5 centesimi comportò che “la Zecca bolognese fu chiusa nel 1862” mentre il Malaguzzi Valeri [15, p. 143] riferisce che “il personale dell’Officina rimase fino al 1869 agli stipendi del Governo pel disbrigo degli ultimi affari”. Di certo si può affermare che la zecca di Bologna, prima di chiudere definitivamente, completò la coniazione affidatale. D’altro canto, si può anche fondatamente ipotizzare che essa non fu mai fornita dei nuovi conii relativi alla moneta da 10 centesimi e ciò in quanto detta moneta, a differenza delle nuove monete in bronzo del Regno d’Italia da 5, da 2 e da 1 centesimo, venne istituita ed emessa soltanto a seguito del Regio decreto n. 737 del 6 agosto 1862, cioè quando la zecca di Bologna era già formalmente chiusa. A ben vedere, anche l’appalto alla zecca di Bologna della battitura di oltre 4 milioni di monete da 5 centesimi risulta abbastanza incomprensibile, considerando il fatto che essa le venne affidata nel maggio 1861, ovvero due mesi prima della prevista chiusura iniziale, già disposta, come abbiamo visto, fin dal mese di febbraio.

A ciò, tuttavia, potrebbe non essere estranea l’influenza di un importante uomo politico bolognese, Gioacchino Napoleone Pepoli, che il 4 marzo 1862 diverrà ministro dell’Agricoltura del Regno (dicastero da cui all’epoca dipendevano le zecche) e che sarà il padre della Legge monetaria fondamentale del Regno promulgata nell’agosto del 1862, al quale le sorti della zecca felsinea dovevano stare particolarmente a cuore, non fosse altro che per motivi “campanilistici”-

In questo quadro, non si può escludere che proprio a Bologna siano stati predisposti degli “esperimenti” di moneta in bronzo da 10 centesimi, negli ultimi mesi del 1861 o nei primi del 1862, e comunque mentre era ancora in corso la coniazione delle monete da 5 centesimi. Tali “esperimenti” avrebbero recato non a caso il millesimo 1862 e ciò in quanto la moneta da centesimi 10 nel 1861 non era stata ancora istituita ufficialmente. Essi avrebbero potuto essere realizzati non con i conii ufficiali della nuova monetazione inviati da Torino, che per i motivi già ricordati non vennero mai trasmessi a Bologna, ma con materiale creatore che si aveva “in casa” e cioè, quanto all’incisione del D/, utilizzando il conio recante il ritratto del re con il “collo lungo” e, quanto al R/, traendo ispirazione (o persino utilizzando) il conio impiegato per l’incisione del R/ dello scudo pontificio di Pio IX.

La finalità di tale produzione premonetale avrebbe potuto essere quella di “propiziare” un’ulteriore proroga della chiusura della zecca, contando sul supporto dell’autorevole politico e preparando l’officina monetaria bolognese alla battitura della moneta di bronzo di maggior modulo, che dal 1862 sarebbe appunto entrata nel circolante monetario. Detta operazione, che potremmo definire “al limite della clandestinità” (giacché effettuata da una zecca che non era stata autorizzata a ciò e che, anzi, doveva interrompere qualunque attività con l’ultimazione della battitura delle monete da 5 centesimi), potrebbe altresì spiegare il motivo per il quale non compaia sul tondello alcun simbolo o altro elemento che possa far risalire il nostro esperimento alla zecca di produzione.

Purtroppo, tutto quanto prospettato non rappresenta che un’ipotesi di lavoro; nel corso di un’attenta ricerca presso l’Archivio di Stato di Bologna non abbiamo reperito documenti attinenti alle prove monetali. Non pare inoltre verosimile che l’incisore del tempo, il sopramenzionato Francesco Maldini (autore dei “modesti” esperimenti bolognesi), per quanto forse coadiuvato dal valente Domenico Bentelli, avesse capacità tecnico-artistiche tali da giustificare una coniazione bella e armoniosa quale il 10 centesimi esperimento “collo lungo”. Infine, l’esame dei conii presso il Museo civico di Bologna, ove sono conservati anche tutti quelli corrispondenti alle prove del Maldini, non ci ha permesso di ritrovare la tipologia in questione. Questi ultimi rilievi non possono che indebolire la nostra iniziale convinzione di aver individuato la possibile zecca artefice.

CONCLUSIONI | Nonostante un’indagine ad ampio raggio, che ha preso spunto dalla bibliografia e si è dipanata attraverso esami stilistici, analisi storiche e d’archivio, sentiamo di non aver raggiunto alcuna conclusione indubitabile. Sebbene il nostro esemplare sia stato con certezza coniato in una zecca definita, possiamo timidamente proporre solo un’attribuzione probabilistica. Forse testimonianze dirette, o quasi, hanno permesso al Marchisio e a Vittorio Emanuele III di identificare correttamente nella zecca di Napoli la sede dove l’esperimento fu prodotto, oppure la coniazione avvenne a Parigi dalla Società Estivant & C. (su commessa della zecca di Napoli), tuttavia riteniamo che Torino risulti, in definitiva, la sede più verosimile, seguita a distanza da Bologna, cui abbiamo dedicato particolare attenzione ma senza risultati sostanziali.

Non siamo neppure riusciti a chiarire l’effettiva “circolazione” pseudo-monetaria del tondello: la carenza documentale, non limitata al nostro esperimento, ma generale nell’ambito di prove e progetti monetali d’Italia, ci ha fortemente ostacolato. In quanto alla tiratura siamo propensi, in mancanza di qualsiasi dato certificato, a considerarla “non trascurabile”: gli esemplari tuttora esistenti sono pochi ma non pochissimi, e ciò diversamente da altre prove o saggi di zecca coevi. Tuttavia questa ricerca è apparsa avvincente, conducendoci alla scoperta di personaggi e situazioni affatto particolari ai primordi dell’unità nazionale e della numismatica del Regno.

APPENDICE: FURTI ALLA ZECCA DI BOLOGNAAlcuni episodi accaduti nell’estate del 1861, ed attinenti alla zecca bolognese, ci sono sembrati poter in qualche modo avvalorare l’ipotesi che proprio qui fosse stato coniato il 10 centesimi esperimento “collo lungo”. Alla nascita del Regno, Bologna era in preda ad una pericolosa associazione criminale di tipo mafioso, nota come l’Associazione dei malfattori. Nel corso del mese di giugno, presso la trafila di Porta Lame vi fu un furto di bronzo, non ancora monetato (un secondo tentativo andò fallito la notte del 14 agosto). Più rilevante che il 16 di luglio di quell’anno, le cronache riportano che nella Zecca di Bologna si consumò un furto con scasso [16, 17].

Ci sarebbe piaciuto credere, magari un po’ ingenuamente, che il nostro misterioso esperimento potesse in qualche modo risultare collegato al furto patito dalla zecca, venendo sottratto alla stessa e quindi immesso fraudolentemente in circolazione nel Meridione d’Italia (da cui pare provenga un congruo numero degli esemplari noti). Il cerchio si sarebbe in tal modo chiuso, interpretando la circolazione pseudo-monetaria del tondello in questione. Solo recentemente abbiamo avuto accesso ad alcuni documenti inediti relativi al furto e conservati nell’Archivio di Stato di Bologna. Merita una loro doverosa trascrizione, soprattutto evidenziando la sottrazione di tondelli destinati alla coniazione delle 20 lire oro, con ogni probabilità del tipo Re eletto, datate 1860 e coniate nel corso del 1861 (in numero di 159 esemplari, e che avrebbe forse potuto essere ben più cospicuo e confrontabile con quello delle 10 lire, pari a 1.145 esemplari). Con nostro disappunto non si fa menzione ad alcun “esperimento” sottratto (Fig. 9): “Quanto inaspettato altrettanto spiacevole è riescito al sottoscritto l’annuncio fatto con relazione in margine notata del furto avvenuto nella notte del 15 al 16 dell’andante mese in codesta Zecca di tondini per i pezzi d’oro da £ 20 per valore di poco meno di 24 mila [1.180 tondini + 22 medaglie d’argento, Nda]. È troppo recente la data dell’altro furto stato consumato nei locali attinenti allo stabilimento monetario anzidetto e di cui in precedenze nota di codest’ufficio delli 11 giugno p.p. [era stato rubato circa un quintale di bronzo dall’edificio della trafila a Porta Lame, Nda] perché l’annunciato nuovo furto non dovesse recare e sorpresa e dolorosa impressione, mentre il Ministero aveva ragione di credere che la Direzione si fosse messa in tali condizioni di guarentigia da rendere vano ogni ulteriore analogo tentativo. Il sottoscritto ritiene per fermo, concorrendo nella supposizione ragionata di codest’Ufficio, che il furto sia stato eseguito coll’intervento o quantomeno sotto le in spiegazioni di taluno degli addetti alle officine. […]” [[xvi]].

 

Bibliografia essenziale

[i])          Cappellari M. “Processo ai 10 centesimi “esperimento” del 1862” in “Cronaca numismatica” 2011; XXIII (3), pp. 32-37.

[ii])         Cagiati M. “Manuale per il raccoglitore di monete del Regno d’Italia”. Napoli 1918, p. 56.

[iii])        Pagani A. “Prove e Progetti di monete italiane (1796-1955)”, Milano 1957.

[iv])        Montenegro E. “Monete di Casa Savoia. Regno d’Italia. (1800-1946)”, Torino 1995.

[v])         Luppino D. “Prove e Progetti e rarità numismatiche della monetazione italiana”, Torino 2012.

[vi])        Simonetti L. “Il 10 centesimi 1862 collo lungo” in “Bollettino numismatico” 1968, V (2), pp. 4-11.

[vii])       Chimienti M. “Monete della zecca di Bologna”. Edizioni Format.bo, Bologna 2009.

[viii])      Marchisio A. F. “Studi sulla numismatica di casa Savoia. Memoria VI. Le prove di zecca per re Vittorio Emanuele II” in “Rivista italiana di numismatica” 1904, XVII, pp. 205-222.

[ix])        “Corpus Nummorum Italicorum. Volume I. Casa Savoia”, Roma 1910.

[x])         Guerrini F. “Il 10 centesimi Esperimento del 1862 ed il cambio della moneta di rame nelle provincie napoletane” in “Bollettino del Circolo numismatico napoletano”, Napoli 1957, pp. 67-73

[xi])        Galletti G. e Trompeo P. (a cura di) “Atti del Parlamento Italiano. Sessione del 1861 (VIII legislatura). Volume II”, Torino 1862, pp. 1.263-1.264.

[xii]) Castellana L. N. “Annali della monetazione italiana. Volume I. Regno d’Italia”, Sesto Fiorentino (Fi) s.d., p. 9.

[xiii])      Lanfranco M. “I progetti e le prove di monete del Regno d’Italia” in “Rassegna Numismatica”, Milano 1934.

[xiv])      Crippa C. “Le monete di Milano, dalla dominazione austriaca alla chiusura della Zecca (dal 1706 al 1892)”, Milano 1997.

[xv])       Malaguzzi Valeri F. “La Zecca di Bologna”. Milano 1901.

[xvi])      Arch. di Stato di Bologna, Dir. Zecca, cart. 256, 1861, tit. VII, fasc. G: Ministero di Agricoltura, industria e commercio, Torino 227/1861, “Risposta alla lettera del 16 luglio, oggetto: Furto alla zecca”.

Ringraziamenti

Gli autori ringraziano Michele Chimienti e Guglielmo Cassanelli per la preziosa opera di ricerca presso l’Archivio di Stato ed il Museo Civico Archeologico di Bologna, e per i consigli generosi e competenti.