PAROLE E MONETE: QUELLE CONTROVERSE
LIRE BOLOGNESI NATE DALLA CARESTIA 

(di Roberto Ganganelli) | Non fu un pontefice fortunato, Clemente VII Medici (1523-1534): sopravvissuto al devastante Sacco di Roma, appena due anni dopo si trovò a fare i conti anche con una carestia – “effetto collaterale” della Guerra tra Carlo V e Francesco I – che colpì pesantemente gli Stati Pontifici. In questo scenario, tutt’altro che confortante, videro la luce le monete al motto COGENTE INOPIA REI FRVMENTARIAE (“Sotto l’urgenza della carestia”) che Mario Traina, ne “Il linguaggio delle monete”, ci dice coniate a Bologna nei valori di 10 e 3 ducati in oro (di questi ultimi, esisterebbero anche prove in argento e rame), e nei tagli da mezzo scudo, quattro e due giuli, anche se i doppi giuli, riportati “sulla fede” di Cinagli (1848, p. 98, n. 43) e di Malaguzzi Valeri (1901, p. 295, n. 10) sono ignorati da Muntoni.

Ritratto di papa Clemente VII Medici (source: archive)


La legenda appare al dritto, ove campeggia una mezza figura di San Petronio con città e pastorale, e con sotto lo stemma di Bologna. La legenda continua poi al rovescio dove appare un cane accovacciato con torcia in bocca (simbolo dei Domenicani, “Domini Canes”) e si sviluppa su sette righe: EX COLLATO AERE DE REBVS SACRIS ET PROPHANIS IN EGENORVM SVBSIDIVM (“Dal denaro raccolto con [la vendita di] oggetti sacri e profani per aiutare i bisognosi”). Il conio di questa moneta è conservato nell’archivio del convento domenicano a Bologna.

Nel 1592 i Domenicani bolognesi, nonostante il loro convento fosse indebitato di 1700 lire e le rendite non bastassero più per mantenere i religiosi, per soccorrere i più bisognosi fecero battere monete con il ricavato della vendita di alcuni immobili e terreni e con l’oro e l’argento ottenuti dalla fusione di arredi sacri. “La denominazione di queste monete e l’opinione sulla stessa esistenza di alcune di esse – precisa Traina – sono molto controverse”. Michele Chimienti, nel suo “Monete della zecca di Bologna” pubblicato nel 2009 ha finalmente fatto chiarezza classificando i 10 ducati come probabili riconi del XVIII secolo, la stessa moneta in rame sempre come riconiata nel ‘700, segnalando perfino dei falsi antichi dorati e considerando, come originale e certa, la sola lira in argento. Anche di questa, tuttavia, esistono esemplari settecenteschi che, scrive lo studioso “si riconoscono per la freschezza del conio, non avendo mai circolato, e per il tondello ritagliato meccanicamente e quindi perfettamente rotondo”. La loro produzione potrebbe risalire al 1729, a ricordo del bicentenario della grande carestia.

Uno dei rarissimi esemplari originali di “lira della carestia” fatti coniare dai Domenicani a Bologna nel 1529 (source: NAC Numismatica Ars Classica)


“Circa il valore del mezzo scudo da quattro giuli – prosegue Traina – l’unico studioso a indicarne per primo l’esatto valore è stato Salvioni; è questa la prima lira bolognese e la prima moneta bolognese a recare la data (la data impressa sulle monete di Giovanni Bentivoglio è infatti quella della concessione del diploma imperiale che ne autorizzava l’emissione). Tornando alle circostanze dell’emissione, Jean-Baptiste Labat nel suo “Voyage en Espagne et en Italie” (Amsterdam 1731) scrive: ‘Vidi sull’altare di San Domenico quattro figure d’argento di circa 5 piedi di altezza tra candelieri […], queste una volta erano dodici, ma i nostri padri, fattene fondere otto in tempo di carestia le convertirono in moneta per i poveri. Quelle monete erano grossi e mezzi giuli, avevano da una parte San Domenico con la parola BONONIA e dall’altra questa espressione PIETAS PATRUM P[R]AED[ICATORVM] TEMPORE FAMIS (“La pietà dei Padri Predicatori nel tempo della fame”) con l’indicazione dell’anno”.