LE MONETE DI LEONZIO E TIBERIO II:
TRA INNOVAZIONE E RITORNO AL PASSATO

(di Luca Mezzaroba) | Nonostante la sua straordinaria longevità, l’Impero bizantino fu spesso turbato da feroci lotte interne causate dall’assenza di norme che regolassero in modo preciso la successione al trono: la nomina del sovrano, teoricamente elettiva e gestita dal senato di Costantinopoli, fu frequentemente sostituita da complotti di fazioni interne al palazzo e soprattutto da usurpazioni violente, che portarono al potere militari supportati dall’esercito e dalle turbolente “fazioni del circo” della capitale. I più decisi oppositori al principio elettivo erano tuttavia quei sovrani fortemente determinati a creare una propria dinastia stabile, sostituendo alla volontà del senato il concetto di trasmissione ereditaria del potere imperiale, appoggiato dalla fedeltà dell’esercito e della popolazione.

Per attuare tale progetto, quasi tutti i sovrani di Bisanzio si servirono, spesso con esito molto felice, della potente arma della propaganda legata alla monetazione, sia dal punto di vista iconografico (rappresentando ad esempio gli eredi al trono fin da piccoli e rendendoli in tal modo familiari alla popolazione), sia modificando o introducendo diversi tipi di monete utili a diffondere le concezioni politiche della dinastia stessa (al riguardo si vedano P. Grierson, “Byzantine Coinage”, London, 1982, pp. 24-25 e C. Morrison, “Byzance et sa monnaie. IV-XV siècle”, Lethielleux 2015, p. 42).

Solido di Costantino IV in abiti militari. Oro, gr. 4,36; mm. 18; h. 6


Una delle prime e più importanti dinastie ad applicare con estrema abilità e grande successo tale manovra propagandistica fu certamente quella eracliana: come ho già avuto modo di analizzare in un mio precedente contributo (“Bisanzio e le monete di Eraclio I, il basileo riformatore”), l’avvento al potere di Eraclio I (610-641) portò un notevole rinnovamento nell’iconografia monetaria dell’impero, introducendo in modo definitivo gli attributi cristiani (croce, globo crucigero) a discapito di quelli pagani e soprattutto facendo prevalere, nella rappresentazione imperiale, l’abito civile su quello militare. Il modello proposto dal fondatore della dinastia fu seguito con estremo rigore dai sui immediati successori (Eraclio Costantino, Eracleona, Costante II), ma già Costantino IV (668-685) se ne allontanò parzialmente decidendo di reintrodurre l’iconografia del sovrano in abiti militari (corazza, elmo, “paludamentum”, piccolo scudo e lancia) pur mantenendo la croce al rovescio delle monete.

Solido di Leonzio. Oro, gr. 4,38; mm. 19; h. 6


Come è noto, fu tuttavia Giustiniano II (685-695 e 704-711), figlio di Costantino IV e ultimo esponente della dinastia, ad attuare il rinnovamento decisivo nell’iconografia dei solidi dell’impero, trasferendo l’immagine del sovrano, non più fulcro assoluto della rappresentazione ma divenuto semplicemente “Servus Christi”, al rovescio e imponendo invece il maestoso Cristo Pantocratore, unico e solo “Rex Regnantium”, al dritto. Questa decisione, che avrà il merito di aprire la strada alle raffigurazioni di Cristo, della Vergine e dei Santi su tutte le tipologie di monete imperiali dei secoli successivi, ebbe tuttavia uno scarso successo iniziale, causato soprattutto dalla violenta deposizione dello stesso Giustiniano II.

Non è questa la sede per trattare la complessa situazione politica di Bisanzio durante il primo regno di Giustiniano II né tanto meno analizzare nel dettaglio la sua importante riforma in campo monetario; sarà tuttavia opportuno almeno accennare alla personalità di questo sovrano, che in sé racchiudeva tutte le caratteristiche della dinastia eracliana portate all’eccesso, per capire le ragioni che portarono alla ribellione il popolo e i militari.

Salito al trono a soli sedici anni, Giustiniano II manifestò subito una chiara visione di quali fossero le necessità dello Stato: egli era sicuramente coraggioso, tenace e dotato di una volontà inflessibile sia sul piano politico che religioso; d’altra parte tuttavia egli “non possedeva né l’astuta prudenza né l’equilibrio che caratterizza il vero uomo di stato; era una natura passionale, spontanea […]. Lo spirito autocratico che caratterizza tutti i rappresentanti della dinastia eracleia si esprimeva in lui […] in un dispotismo sfrenato” (G. Ostrogorsky, “Storia dell’Impero Bizantino”, Torino 1968, pp. 112-113); a tutto questo egli univa improvvisi scatti d’ira e di crudeltà, che si fondevano all’ossessione per Giustiniano I, il suo omonimo, celebre predecessore.

Solido di Leonzio. Oro, gr. 4,38; mm. 19; h. 6


Furono proprio l’intransigenza e il dispotismo del sovrano, certamente uniti alle gravi sconfitte militari patite contro gli Arabi e al pesante e violento fiscalismo imposto alla popolazione, che portarono infine i cittadini di Costantinopoli a ribellarsi nel 695. La rivolta, capeggiata dalla fazione degli Azzurri (uno dei “partiti” popolari armati che facevano capo all’Ippodromo di Bisanzio e che, ancora nel VII secolo, aveva la capacità di opporsi al potere centrale) colse Giustiniano II del tutto impreparato: il sovrano venne catturato e subì immediatamente il taglio del naso, pena già inflitta a molti membri scomodi della dinastia eracliana e basata sul principio per cui un imperatore menomato nel fisico non era più adatto al governo dello Stato. A questo punto la folla proclamò nuovo sovrano Leonzio, generale del “thema” (distretto militare) dell’Ellade, il quale spedì subito il suo predecessore in esilio nella lontana Cherson (attuale Sebastopoli), in Crimea.

Sia per la caotica situazione interna, sia per la brevità del regno, di Leonzio (695-698) esistono scarse informazioni biografiche; una delle poche fonti contemporanee attendibili risulta pertanto la sua monetazione, le cui caratteristiche appaino decisamente interessanti. Come già accennato, la prima preoccupazione di Leonzio in campo monetario fu quella di tornare al modello tradizionale dei solidi distaccandosi in questo modo dal suo odiato predecessore; la rappresentazione del Cristo Pantocratore fu infatti soppressa e al suo posto, al dritto, ricomparve la figura imperiale a cui si affiancava, al rovescio, la classica raffigurazione della croce sui quattro gradini. Nonostante questo ritorno alla tradizione, è proprio l’iconografia del sovrano a presentare degli elementi del tutto peculiari per le monete imperiali che, se da un lato dimostrano una certa continuità con il regno di Giustiniano II, dall’altro si rivelano del tutto innovative.

Semisse di Leonzio. Oro, gr. 2,14; mm. 15,1; h. 7


L’abito che Leonzio indossa nei solidi, ma anche negli altri tipi di monete d’oro come i tremisse e i semisse, è certamente quello civile, tuttavia, a differenza delle vesti portate dai primi sovrani del VII secolo, esso è costituito principalmente dal “loros”. Questo capo di abbigliamento, che diverrà una delle principali insegne del potere imperiale bizantino, era costituito da una lunga e ricca stola che veniva avvolta intorno al corpo del sovrano; questa traeva la sua origine dalla “trabea trionfale”, una sciarpa che faceva parte del vestito degli antichi consoli e che, nel corso del tempo, aveva finito per essere adottata dai basilei, i quali tuttavia ritenevano che essa rappresentasse le bende con cui il Cristo era stato avvolto. Il “loros”, indossato dai sovrani nelle cerimonie religiose più importanti, era tuttavia stato introdotto nelle monete proprio da Giustiniano II, che lo aveva associato alla presenza del Pantocratore sul dritto della moneta (cfr. P. Grierson, “Byzantine Coins”, London, 1982, p. 98; per un’analisi dell’evoluzione del loros si rinvia a G. Ravegnani, “Imperatori di Bisanzio”, Bologna 2008, p. 116).

Follis di Leonzio. Bronzo, gr. 3,21; mm. 19; h. 6

 

Un secondo elemento presente nei solidi di Leonzio (ma non nei tremisse e nei semisse) è costituito dalla cosiddetta “akakia”, che egli tiene nella sua mano destra. Anche questo elemento fa parte degli attributi del sovrano di Costantinopoli e deriva probabilmente dalla mappa, un drappo che i consoli erano soliti gettare nell’Ippodromo per dare inizio ai giochi; la raffigurazione dell’“akakia” costituisce una novità nella monetazione imperiale: si trattava di un involucro di seta rossa contenente polvere di tombe (per ricordare al sovrano che anch’egli era mortale); la presenza di questo attributo anche nei follis di Leonzio dimostra come esso fosse ormai ben presente nel cerimoniale di corte bizantino.

Le monete di Leonzio, dunque, presentano sia caratteristiche legate alla tradizione che alla contemporaneità; la peculiarità più interessante è però costituita dal completo allontanamento dai canoni estetici tipici della cultura bizantina: il ritratto del sovrano mostra infatti tratti realistici che vanno a violare la tradizionale staticità e ieraticità dell’iconografia imperiale. Nelle monete d’oro Leonzio appare robusto, per certi versi corpulento, e il suo volto è contornato da una barba piuttosto folta. Tale scelta, decisamente inconsueta, risulta particolarmente interessante in quanto attuata da un usurpatore e in un momento estremamente caotico per lo Stato bizantino.

Solido di Tiberio II. Oro, gr. 4,42; mm. 20; h. 6


Il regno di Leonzio, infatti, fu disastroso: nel 697 gli Arabi attaccarono l’esarcato d’Africa (l’odierna Tunisia) e conquistarono Cartagine; immediatamente il sovrano inviò una flotta che in effetti respinse gli invasori, tuttavia le forze imperiali erano in grave inferiorità numerica e l’anno successivo dovettero ritirarsi abbandonando in modo definitivo quei territori. La sconfitta provocò gravi tumulti nell’esercito che infine decise di nominare l’ammiraglio Absimaro nuovo imperatore. Questi marciò subito su Costantinopoli e, supportato dai Verdi (un’altra fazione armata dell’Ippodromo) abbatté senza problemi Leonzio, che fu rinchiuso in monastero dopo aver subito la mutilazione del naso.

Solido di Maggiorano. Oro, gr. 4,36; mm. 20; h. –


Il nuovo basileo, che assunse il nome di Tiberio II (698-705), si dimostrò ancora più incapace del suo predecessore: non solo trascurò di occuparsi del pressante pericolo degli Arabi, ma soprattutto si dimostrò impotente al momento di difendere la capitale dal ritorno di Giustiniano II, il quale riuscì a catturarlo e a spodestarlo. Nonostante la sua sterile azione di governo, Tiberio II (impropriamente detto Tiberio III) riformò in modo notevole l’iconografia monetaria: come Leonzio, anch’egli si rifiutò di rappresentare il Cristo Pantocratore, optando invece per il classico modello del sovrano al dritto e della croce sui gradini al rovescio. Contrariamente al suo predecessore però Tiberio II scelse di ispirarsi al passato per quanto riguarda la raffigurazione del sovrano: abbandonata ogni forma di realismo, l’imperatore si riappropriava della sua consueta ieraticità, alla quale univa il ritorno all’abito militare tipico degli antichi Augusti romani, persino a discapito degli importanti attributi cristiani (globo crucigero). Se si eccettua l’assenza dell’elmo (sostituito dalla corona), il modello delle monete di Tiberio II sembra essere infatti quello dei solidi dell’imperatore d’occidente Maggiorano (457-461); sia nei solidi che nei follis, Tiberio II indossa corazza e mantello, impugna un grande scudo e soprattutto tiene la lancia in modo trasversale davanti a lui e non, come è più frequente, appoggiata sulle spalle.

Follis di Tiberio II. Bronzo, gr. 2,90; mm. 20; h. 6


Le inconsuete scelte iconografiche dei due usurpatori di età eracliana furono in ogni caso spazzate via dalla furiosa vendetta di Giustiniano II; poco c’è da dire, in realtà, sul secondo regno di questo sovrano “dal naso mozzato” (“Rinotmeto”), il quale instaurò un vero e proprio regime di terrore, preoccupandosi unicamente di massacrare tutti i suoi oppositori, primi tra tutti Leonzio e Tiberio II, i quali vennero esposti a pubbliche umiliazioni prima dell’esecuzione capitale (705).

Solido di Giustiniano II e del figlio Tiberio. Oro, gr. 4,49; mm. 21; h. 6


Nonostante la sua spaventosa crudeltà, Giustiniano II si rivelò incredibilmente attento e sensibile per quanto riguarda l’iconografia monetaria e il suo rinnovamento: anche i solidi del suo secondo regno, infatti, furono caratterizzati dal ritorno del sovrano, e del suo giovane erede, in abiti civili e con tutte le insegne cristiane mentre il dritto era nuovamente occupato dalla raffigurazione del Cristo, questa volta giovane, senza barba e con i capelli ricci. Quest’ultimo modello iconografico, come del resto lo stesso regno di Giustiniano II, ebbe scarsa fortuna e terminò in modo definitivo con la caduta dell’ultimo esponente della dinastia eracliana. Il modello del Cristo Pantocratore non sparirà del tutto, dato che verrà ripreso dai sovrani macedoni già nella seconda metà del IX secolo.

Le insolite scelte di Leonzio e Tiberio II, infine, furono del tutto abbandonate: anche se il “loros” e l’“akakia” divennero attributi fondamentali del basileo, una rappresentazione così realistica del sovrano non trovò più spazio (a parte rarissime eccezioni) nelle monete imperiali mentre l’abito militare, ormai anacronistico, scomparve completamente.