DOSSIER SPECIALE: IL SECOLO XIX
E LA “MODERNITÀ” A VENEZIA | 2

(di Leonardo Mezzaroba) | Arrivare in automobile a Venezia | Nei primi decenni del Novecento, la nascita di Porto Marghera (con la conseguente esigenza di creare un collegamento con la zona portuale di Venezia) e il progressivo diffondersi del trasporto tranviario e automobilistico incoraggiò l’idea di un secondo ponte, da affiancare al primo, come prosecuzione della strada provinciale che terminava a San Giuliano, sul margine della laguna. Nel 1931 il Comune di Venezia approvò tale realizzazione e affidò il progetto all’ingegner Eugenio Mozzi. Il nuovo ponte, lungo oltre 3 chilometri, sarebbe stato costruito a fianco di quello ferroviario. Il 7 luglio veniva dato l’avvio ai lavori. Condotta a ritmi frenetici, imposti dal regime per precise esigenze di propaganda, l’opera venne completata in meno di 2 anni e, come testimoniano i filmati dell’Istituto Luce, essa divenne, agli occhi del mondo, il simbolo stesso del rinnovamento di Venezia. Il 25 aprile 1933 l’erede al trono Umberto, principe di Piemonte, inaugurava il Ponte del Littorio. A completamento del manufatto fu approntata una vasta area d’arrivo, denominata Piazzale Roma, dove fu costruito uno dei più grandi garage d’Europa. Infine venne rapidamente scavato il Rio Nuovo, per collegare velocemente il terminal con il cuore di Venezia evitando di seguire tutto il Canal Grande.

Per celebrare l’avvenimento il Comune incaricò lo scultore Francesco Scarpabolla (1902-1999) di modellare una apposita medaglia, denominata impropriamente “osella”. Scarpabolla, non nuovo alla realizzazione di originali medaglie, diede vita a un modello di grande rilievo, denso di motivi allegorici, così illustrati nei quotidiani locali dell’epoca: “Sul recto è il Leone di San Marco andante che domina il disco senza contorno. La simbolica figura pur essendo vagamente ispirata da modelli arcaici sfugge da ogni obbedienza alla tradizione araldica e s’incornicia in un accordo di fregi di gusto schiettamente moderno. Dietro al Leone, sorge dall’onde che uniscono all’immensità del mare la città di San Marco e la sua terraferma, la rappresentazione sintetica del Fascio Littorio, il quale spartisce il campo in senso verticale. Il taglio della scure è rivolto verso il mare dove il leone fissa lo sguardo.Diapositiva1Sul verso, il campo, ugualmente senza contorno, è dominato da una grande ancora verticalmente collocata. Ad essa s’allacciano gli estremi anelli di due grosse catene da nave le quali congiungono così la terraferma all’isola nel simbolo della salvezza e della potenza di Venezia sui mari. Dietro l’allegoria, si profilano alcune arcate del ponte che si perdono nella distanza. Nel limite superiore del recto è segnato A. XI; sul verso è, al sommo, la data M.C.M.XXXIII e alla base in lettere ad alto sbalzo la leggenda PONTE DEL LITTORIO” (l’articolo, tratto dal “Gazzettino”, è riportato in “Una vita per l’Arte. Scarpabolla scultore”, Venezia 1987, p. 51).

Lo stabilimento Picchiani e Barlacchi di Firenze, cui era stata affidata la coniazione, offrì la medaglia in due moduli. Del più grande sono noti solo esemplari in bronzo; di quello più piccolo esistono esemplari in argento e in bronzo. Nel già citato articolo del “Gazzettino” si parla anche di qualche esemplare in oro, presumibilmente destinato alla famiglia reale. Di chiara matrice collezionistica, infine, la notazione relativa al destino dei conii: “La medaglia verrà coniata in un numero limitatissimo di esemplari, d’oro, d’argento e di bronzo e quindi il conio verrà distrutto. Così l’osela acquisterà un notevole valore numismatico.”Diapositiva2A questa emissione se ne accompagnò una seconda, proposta dallo Stabilimento Johnson di Milano, che offrì una medaglia molto elegante e che si rifaceva in modo ben più convincente alle antiche oselle veneziane. Oltre a tutto la medaglia citava in modo esplicito il nome del re e del duce, che risultava stranamente taciuto in quella di Scarpabolla. La medaglia della Johnson venne proposta in bronzo e in argento; non sono noti esemplari in oro. Per l’occasione inoltre vennero messi a punto anche dei distintivi: molto curioso quello che, oltre a proporre la data precisa dell’inaugurazione, posta sotto il simbolo del fascio littorio, offre una iconografia decisamente improbabile, con le arcate del nuovo ponte incorniciate tra le due colonne del molo di San Marco e, sullo sfondo, le cupole della Basilica della Salute.Diapositiva3Un altro distintivo (relativo a un convegno ciclistico), verosimilmente legato all’inaugurazione del Ponte Littorio, è stato segnalato in un precedente articolo del “Giornale della Numismatica” (24 febbraio 2016). Ma alla realizzazione del Ponte del Littorio sembra possa essere riportato anche un distintivo che propone l’immagine del Leone di San Marco con il Vangelo chiuso. Il motto che lo accompagna si riferisce in modo evidente alla polemica seguita alla demolizione dei cosiddetti “Leoni di Traù”, avvenuta a Traù, in Jugoslavia (oggi Trogir, in Croazia) nella notte tra l’1 e il 2 dicembre del 1932. Di fatto nella cittadina jugoslava vi erano vari leoni di San Marco, retaggio dell’antica presenza veneziana. Quando il nazionalismo italiano, infiammato dall’ideologia di Mussolini, proclamò che “ovunque c’è il leone di San Marco, ivi è l’Italia”, i Traurini indignati si accanirono contro otto di quei leoni addirittura con la dinamite. Dell’incidente si discusse persino alla Società delle Nazioni a Ginevra. Mussolini rispose con un aforisma di grande effetto (in parte riportato, appunto, nell’iscrizione del distintivo): “I leoni di Traù sono stati distrutti, ma ecco che, distrutti, sono, come non mai, diventati simbolo vivo e testimonianza certa. Solo uomini arretrati ed incolti possono illudersi che, demolendo le pietre, si cancelli la storia.”Diapositiva4Venezia naturalmente si sentì coinvolta in modo diretto, se non altro per l’evidente collegamento tra i leoni e l’antica Dominante e significativamente, sui grandi pili posti all’imbocco del nuovo ponte translagunare, dal lato della terraferma, vennero posti i bassorilievi di due grandi leoni che si ispiravano manifestamente e polemicamente a quelli oltraggiati a Traù. I leoni esistono ancora oggi, anche se sono stati ovviamente “liberati” dalla simbologia fascista che li accompagnava; così come il ponte stesso, dopo la caduta del fascismo, è stato rinominato Ponte della Libertà.

Viaggiare per Venezia | Perdersi per le calli e i campielli di Venezia è uno dei “privilegi” cui difficilmente un turista rinuncerebbe, ma esigenze di lavoro o di comodità impongono, anche nella città lagunare, l’utilizzo di mezzi pubblici di trasporto che non possono che essere acquei. Fornire la città di un valido sistema di trasporto pubblico a propulsione meccanica apparve, sin dal momento della riunificazione all’Italia, una condizione irrinunciabile per fare di Venezia una città moderna ed efficiente.Diapositiva5Il primo esperimento di navigazione a vapore nella laguna di Venezia ebbe luogo nel 1881 quando, in concomitanza con il III Congresso geografico internazionale, sul Canal Grande apparve il vaporetto “Regina Margherita”. L’iniziativa ebbe successo e, negli anni successivi, il servizio venne affidato a una società francese, la Compagnie des bateaux omnibus, che operò con otto vaporetti fino al 1890, quando venne sostituita dalla Società Veneta Lagunare (SVL). Infine, nel 1903, il Comune di Venezia deliberò la gestione diretta dei servizi di navigazione interna, dando così vita all’ACNI (appunto Azienda Comunale per la Navigazione Interna), che iniziò ad operare nel 1905.

Nel gennaio del 1930, con l’acquisizione delle linee di Chioggia, Burano e San Giuliano, il nome si modificava in ACNIL (Azienda Comunale di Navigazione Interna Lagunare). Una volta realizzati il ponte automobilistico translagunare e il terminal di Piazzale Roma (1933), l’ACNIL sfruttò il Rio Novo (appena scavato) per attivare un collegamento rapido verso Rialto e San Marco, introducendo delle unità molto più maneggevoli, che assunsero il nome di motoscafi.Diapositiva6Nel 1955, il cinquantenario dell’ACNIL venne celebrato anche con l’emissione di una medaglia in due versioni: in argento e in argento dorato. Capitani, marinai, bigliettai e pontonieri era poi tenuti a portare tutta una serie di distintivi e di simboli che indicavano chiaramente l’appartenenza all’Azienda Comunale Navigazione Interna Lagunare. Nel 1978 venne fondata l’Azienda del Consorzio Trasporti Veneziano (ACTV) in cui confluirono l’ACNIL, la SVET (Società Veneta Esercizio Trasporti) e la SVA (Società Veneta Autotrasporti).

L’illuminazione a gas a Venezia | Nel corso della prima metà dell’Ottocento si diffuse, in molte città dell’Italia settentrionale, l’uso del gas per l’illuminazione. Anche a Venezia ci si orientò in questo senso fin dal 30 novembre 1839, quando venne sottoscritto un accordo tra la Congregazione Municipale della città lagunare e la società lionese di De Frigière, Cottin et Montgolfier-Bodin per l’appalto dell’illuminazione pubblica del circondario di San Marco. La società francese allestì una prima Officina del Gas su un terreno attiguo a San Francesco della Vigna, ove produceva il gas per combustione del carbon fossile e lo stoccava nei gasometri. I primi esperimenti riscossero un notevole successo tanto che, in brevissimo tempo, “nella zona di San Marco si potevano già contare anche più di 500 botteghe illuminate con il nuovo sistema, i cui proprietari erano disposti a pagare alla società distributrice ben 7 centesimi all’ora per ogni fiammella accesa” (“Storia del gas nella città dei dogi”, a cura di G. Zucchetta, Venezia 1966, p. 15). Nel 1843 la società erogatrice assumeva la denominazione di Societé Civile d’éclairage au gas de la Ville de Venise, ma da tutti venne chiamata semplicemente La Lionese.

Proprio nei primi giorni di agosto del 1843 si svolse tutta una serie di esperimenti di illuminazione pubblica in vari campi di Venezia. Infine, la sera del 19 agosto ad essere illuminata fu Piazza San Marco. La circostanza fece molto scalpore; ne parlarono con molta enfasi i giornali dell’epoca: “La Piazza muta, a vederla, in un mare d’argento, e quell’onda di luce, quella luce siderea, che in ogni parte egualmente si diffonde e campeggia. […] La fiamma che produce il gentil prodigio esce da 115 faci, che corrono in giro a modo di cinto luminoso la Piazzetta e la Piazza. Altre, in numero di trentasei, di più fino lavoro rischiaran di sotto le gallerie. […] Le esteriori lanterne son d’elegante e vago disegno […] Sul Molo e d’intorno la torre, le lampe son sostenute da gran candelabri di ferro fuso imitanti il bronzo. […] E ciò che dee recar ancora più meraviglia è ch’effetto sì grande siasi ottenuto in termine così breve. […] La folla ognor rinascente, occupava, presso che a toglier il passo, tutto lo spazio, ed uno solo in sì gran popolo, era uno il linguaggio, quello della meraviglia e dell’entusiasmo; intanto che più musiche bande celebravano il lieto avvenimento co’ suoni.” (“Gazzetta Privilegiata di Venezia”, 22 agosto 1843).Diapositiva7Il successo dell’innovazione fu attestato nei modi più diversi: inni e pubblicazioni, ma anche con l’emissione di una elegante medaglia d’argento, descritta da un testimone d’eccezione: Emmanuel Cicogna (già ricordato in questa sede come attentissimo studioso di medaglie e lui stesso autore di legende e collezionista). Proprio grazie alla sua testimonianza possiamo “leggere” l’iconografia della medaglia e accostarla con certezza all’illuminazione di Piazza San Marco: “[…] A perennare questa introduzione anche in Venezia, fu impressa una medaglia d’argento ottagonale. Da una parte vedesi Lucifero col motto FIAT LVX e il nome dell’incisore da un lato SALMASON F. Dall’altra una corona turrita rappresentante la corona d’Italia, e le parole VENISE, e attorno COMPAGNIE DECLAIRAGE [sic] AV GAZ. Non v’è anno; ma è noto, che la prima sera della illuminazione della Piazza di S. Marco a gaz fu il sabbato [sic] 19 agosto 1843, dopo alcuni esperimenti fatti qualche sera antecedente a s. Bartolommeo, a [s.] Giuliano ec.” (E. Cicogna, “Saggio”, op. cit., p. 764). Quanto all’autore, si tratta di Jean Baptiste Salmason, raffinato medaglista francese, originario della Svezia (era nato nel 1807 a Stoccolma) e morto a Parigi nel 1866.

La pubblica illuminazione andò poi gradualmente estendendosi per tutta la città e le lampade ad olio furono sostituite da quelle a gas con accensione e spegnimento a mano. Certo non mancarono problemi e lamentele, legati in particolare all’odore sgradevole emanato e al diffondersi di una rete, spesso incontrollabile, di tubi in ghisa e in piombo che attraversavano calli e canali in modo disordinato e spesso mettendo a repentaglio la sicurezza degli edifici; tuttavia l’innovazione riscosse grande successo. La Lionese, diretta da Camille François Le Breton, poté così estendere la distribuzione del gas in città anche ad altri settori, quali il riscaldamento (cfr. W. Bruna Le Breton, “L’illuminazione a gas a Venezia. Storia del cittadino francese che l’attuò. Camille François Le Breton”, Venezia 2012).

Nel 1851 veniva prorogato, addirittura fino al 1927, il contratto per la pubblica illuminazione; ma già nel 1887 l’arrivo della corrente elettrica a Venezia mise in crisi il monopolio della Lionese. All’inizio del Novecento la Società Edison riusciva ad assicurarsi l’esclusiva dell’illuminazione pubblica. Nel 1924 La Lionese diventava italiana a seguito del passaggio alla Società Italiana per il Gas p. A. e due anni più tardi assumeva il nome di Società Veneta Industrie Gas (SVIG). Nel 1927 le lampade a gas furono definitivamente sostituite da quelle elettriche. Infine la SVIG venne fusa per incorporazione nell’Italgas.

L’acquedotto a Venezia | Per secoli Venezia affidò il rifornimento dell’acqua potabile alla raccolta delle acque piovane in cisterne interrate con cura nei campi o nei cortili delle case. Ad esse si accedeva attraverso un elevatissimo numero di vere da pozzo. Ancora nel 1874 i pozzi attivi erano circa 6000, ma solo un terzo di essi offriva acqua potabile. Nell’Ottocento, il forte incremento della popolazione impose la ricerca di forme di rifornimento più adeguate.

Fu dunque nel 1841, in piena dominazione austriaca, che si pensò per la prima volta di prelevare l’acqua da Casale, in provincia di Treviso, e farla giungere a Venezia facendo passare un acquedotto lungo il ponte ferroviario in via di costruzione. Non se ne era fatto però nulla. Dopo la drammatica esperienza dell’assedio del 1848-1849 erano stati soprattutto i comandi militari a diffidare di un acquedotto che venisse dall’esterno, per privilegiare invece il potenziamento dello scavo di pozzi artesiani e la manutenzione o il ripristino dei pozzi privati. (Sulle vicissitudini che accompagnarono la progettazione e la realizzazione dell’acquedotto cfr. “L’acquedotto di Venezia. Studi progetti lavori dal 1841 al 1923”, Venezia 1984).Diapositiva8Le cose non cambiarono neppure dopo l’annessione di Venezia all’Italia: nel 1867 vennero presentati dieci progetti di acquedotto che non ebbero alcun seguito; nel 1875 ne vennero presentati altri sei e finalmente, tra questi fu scelto quello di Ritterbandt-Dalgairns di Londra. Il contratto venne stipulato il 26 giugno 1876; l’acqua sarebbe stata attinta dal Brenta attraverso l’antico canale detto Veneta Seriola e convogliata ai Moranzani; da qui, attraverso una grande condotta, sarebbe stata raccolta in un “cisternone” ubicato a Venezia in campo Sant’Andrea e finalmente irradiata in tutto il centro storico. Di fatto, nel 1879 l’esecuzione del progetto venne rilevata dalla francese Compagnie Générale des eaux pour l’étranger. Altri intoppi burocratici e difficoltà oggettive ritardarono lo svolgimento dei lavori. Finalmente, il 23 giugno 1884 l’acquedotto venne attivato. L’inaugurazione fu salutata da una gran festa che si svolse a sera in una Piazza San Marco illuminata come nelle occasioni più solenni. Al centro della Piazza era stata appositamente allestita una fontana monumentale.

Stranamente non vi è notizia di una medaglia commemorativa realizzata per l’occasione; solo per il centenario dell’inaugurazione, l’ASPIV (Azienda Servizi Pubblici Idraulici e Vari) di Venezia commissionò una medaglia commemorativa allo scultore e medaglista Gianni Aricò (nato nel 1941 e molto attivo nel suo studio veneziano). L’artista, prendendo spunto dalle immagini fotografiche dell’epoca, scelse di proporre in primo piano il getto della grande fontana con, sullo sfondo, la basilica di San Marco.

Nel 1890, la qualità dell’acqua, non particolarmente pura, venne migliorata grazie a una nuova condotta sotterranea che attingeva alle fonti di Sant’Ambrogio (presso Trebaseleghe, in provincia di Padova). L’acqua poi venne portata nel 1898 a Murano, nel 1901 alla Giudecca e nel 1908 al Lido. Un acquedotto per Mestre venne approntato solo nel 1912. L’inaugurazione ebbe luogo il 27 ottobre di quell’anno, vale a dire nel giorno legato alla gloriosa sortita del 1848. Per l’occasione “mentre l’acqua zampillava da una fontana di semplice fattura eretta in piazza Barche, veniva diffuso un opuscolo, scritto da Mario Crepet, che ripercorreva le varie tappe dell’esecuzione dell’opera” (S. Barizza, “Storia di Mestre. La prima età della città contemporanea”, Padova 2014, pp. 97-98). Il celebre laboratorio di incisione veneziano di Alessandro Santi (1858-1914) realizzò una bella medaglia raffigurante, al dritto, un operaio al lavoro, premiato da una figura femminile recante dei frutti simbolo della fecondità, e, al rovescio, lo stemma di Mestre sullo sfondo di Piazza Ferretto e della Galleria.

(leggi qui la prima parte)