COSTANTINO VII PORFIROGENITO:
L’IMPERATORE CHE NON REGNÒ

(di Luca Mezzaroba) | Tra le molte figure di sovrani bizantini che si distinsero nel reggere le sorti del millenario Impero Romano d’Oriente, guidandolo attraverso terribili crisi religiose o difendendolo da devastanti attacchi esterni, quella di Costantino VII Porfirogenito è del tutto particolare. Pur essendo prima erede e successivamente sovrano legittimo e pur vivendo in uno dei periodi di maggior prestigio politico e militare dello Stato bizantino, egli non riuscì mai ad esercitare a pieno le sue funzioni sia a causa delle sue sfortunate vicende personali, sia per il suo carattere del tutto particolare. Nonostante questo, proprio per la sua stessa condizione di “porfirogentio”, cioè di legittimo erede al trono, la sua immagine compare molto spesso nelle monete, associata a quella di svariati personaggi impegnati nella feroce lotta per il trono imperiale e bisognosi di legalizzare la propria posizione.

In questa sede ci si occuperà di rileggere la sfortunata vicenda di Costantino VII in chiave numismatica, attraverso un’analisi dell’iconografia monetaria di coloro che si servirono di lui, o meglio della sua immagine imperiale, per perseguire le proprie ambizioni politiche o per legittimare la propria sete di potere. Si tratta di una prospettiva forse inconsueta per la storia ufficiale, ma capace di riservare delle sorprese.001Costantino VII nacque il 2 settembre 905 dall’illecita relazione del “basileus” Leone VI (886-912) con la sua amante Zoe Carbonopsina; la nascita del primo figlio maschio dell’imperatore, anche se molto attesa, portò tuttavia grave imbarazzo alla corte bizantina e scatenò un’accesa opposizione da parte della Chiesa ortodossa. Era accaduto infatti che il giovane Leone VI, sposatosi in prime nozze con la pia Teofano per ordine del padre Basilio I, fosse rimasto ben presto vedovo (897); libero da un’unione che, evidentemente, poco sopportava, l’imperatore si era risposato con l’amante Zoe Zautzina, la quale era riuscita a dargli solo una figlia femmina prima di morire a sua volta nell’899. Ancora privo di un erede maschio, Leone VI aveva così deciso di sposarsi una terza volta, contravvenendo in questo modo sia alle consuetudini religiose, sia alle norme giuridiche da lui stesso riformate, le quali vietavano severamente il terzo matrimonio e disapprovavano il secondo; la nuova sposa, Eudocia Baianè, non fu però più fortunata delle precedenti, ella infatti morì di parto nel 901, portando con lei il possibile erede al trono.

Considerata la situazione, Leone VI, in seguito noto con il soprannome di “Saggio” per le sue doti letterarie e poetiche, decise di sposare l’amante Zoe Carbonopsina, la quale effettivamente gli aveva dato il piccolo Costantino, partorendolo nella stanza della porpora (“Porphyra”), dove venivano al mondo i futuri eredi al trono. Alla volontà imperiale si oppose tenacemente il patriarca Nicola Mistico: questo scontro, che portò ad una crisi gravissima tra imperatore e Chiesa ortodossa, non impedì però al sovrano di sposarsi e far battezzare il giovanissimo erede, che iniziò ad apparire nelle monete paterne ancora prima della sua associazione al trono (9 giugno 911).

Queste monete, in particolare i solidi, ribadiscono la nuova iconografia voluta da Basilio I, padre di Leone VI e fondatore della dinastia macedone: sul dritto campeggia l’immagine di Cristo Pantocratore, nimbato e barbuto, nell’atto di benedire con la mano destra e tenere i Vangeli con la sinistra. Egli appare seduto in trono: questa è una notevole rivoluzione rispetto al passato, in quanto il trono faceva parte degli attributi imperiali; proprio per questo motivo, il solido di età macedone prende il nome di “senzaton” (appunto dalla rappresentazione di Cristo in trono: “senzon”). Al rovescio appaiono invece le figure imperiali: come di consueto Leone VI (il sovrano regnante) è molto più grande del figlio, entrambi comunque reggono un globo crucigero, indossano la corona e i tipici abiti di apparato mentre impugnano insieme una grande croce che divide il campo in due. Oltre al solido, la presenza di Costantino VII si ritrova anche nel “miliaresion” d’argento: esso infatti, al rovescio, presenta una scritta su più righe che celebra entrambi gli imperatori.002Quando Leone VI il Saggio morì (912) non era passato ancora un anno dall’incoronazione del figlio; dato che Costantino VII aveva solo sette anni, il potere passò a suo zio Alessandro, decisamente avverso alla politica del fratello Leone VI. Nel suo brevissimo regno, Alessandro (912-913) richiamò il patriarca Nicola Mistico, che il precedente imperatore aveva sostituito con un chierico di sua fiducia, e decise, poco cautamente, di non versare più il tributo al potente zar bulgaro Simeone. L’avversione di Alessandro per il fratello è evidente anche nell’iconografia monetaria: se infatti, durante il regno di Leone VI, i due apparivano nei follis ancora in apparente concordia (affiancati e seduti in trono con tutte le insegne imperiali), nei suoi solidi Alessandro, pur attenendosi alla tipica iconografia dell’epoca, non raffigura il nipote, legittimo erede al trono, preferendo sostituirlo con san Giovanni Prodromo (e non, come si è erroneamente ritenuto in passato, con sant’Alessandro).003Con l’improvvisa morte di Alessandro (913) e la minorità di Costantino VII, si aprì per l’Impero Bizantino un periodo di grave instabilità politica e militare: a corte si formarono due partiti avversi, il primo, ostile alla dinastia regnante, capeggiato da Nicola Mistico, il secondo guidato dall’imperatrice Zoe Carbonopsina, sostenitrice del figlio Costantino VII. A questa crisi interna se ne aggiunse una esterna: lo zar Simeone, deciso a conquistare l’impero, attaccò Costantinopoli. Né la politica di aperta sottomissione ai Bulgari del patriarca, né l’atteggiamento intransigente dell’imperatrice ebbero successo: le armi bizantine subirono ripetuti disastri fino all’avvento del “drungarios” (ammiraglio) Romano Lecapeno, il quale entrò in armi nella capitale prendendo il potere (919).004Romano I (919-944) fu il primo usurpatore di età macedone e uno dei più grandi sovrani bizantini del X secolo; dal punto di vista militare, la lotta con i Bulgari si risolse in un successo per Bisanzio (919-927): un proditorio attacco dei Vichinghi a Costantinopoli fu respinto con successo e la secolare guerra con gli Arabi vide il trionfo delle armate imperiali. Sul piano interno, Romano tentò di combattere il predominio dei grandi latifondisti ma, soprattutto, riuscì a trovare un compromesso con la Chiesa, ponendo fine al problema, ancora irrisolto, dei quattro matrimoni di Leone VI.

Per tutto il suo regno, infatti, Romano I tentò di legalizzare la propria posizione, ponendosi come protettore del legittimo erede Costantino VII; non è un caso che, ad esempio, egli avesse fatto subito sposare il giovane sovrano con la propria figlia Elena (919) e che, pochi mesi dopo, lo stesso Costantino lo avesse incoronato co-imperatore e “basileopator” (padre dell’imperatore). Questo atteggiamento è evidente anche nell’iconografia monetaria: il solido, che al dritto mantiene ancora le stesse caratteristiche dei precedenti, al rovescio mostra Romano I affiancato a Costantino VII. Entrambi indossano la corona, i tipici abiti di apparato e reggono la croce che divide il campo; è comunque importante notare che le figure hanno la stessa altezza. Anche il “miliaresion” si mantiene simile ai precedenti: sul rovescio il nome di Costantino VII è accostato a quello di Romano.005Questo cauto atteggiamento di Romano I subì un repentino cambio di rotta con la nomina a coreggente del figlio primogenito Cristoforo nel 921; questo fece passare Costantino VII al terzo posto nella linea di successione. Sono proprio le monete, e in particolare i solidi, a mostrare con estrema evidenza la nuova volontà imperiale: l’iconografia del dritto cambia, presentando non più Cristo Pantokrator in trono e benedicente, ma invece in piedi, nell’atto di incoronare Romano I, che regge nella mano destra il globo crucigero. Al rovescio la figura di Cristoforo affianca quella di Costantino VII; come di consueto, entrambe appaiono incoronate e con la grande croce che le separa, tuttavia il figlio di Romano è certamente più alto del Porfirogenito. La volontà di Romano I è dunque evidente e si manifesta in modo ancora più palese in un altro tipo di solido che, pur riprendendo il modello del dritto con Cristo in trono, al rovescio presenta le immagini dell’imperatore regnante e di Cristoforo, omettendo completamente Costantino VII.006I piani di Romano I subirono però una battuta d’arresto a seguito della morte del figlio Cristoforo nel 931; anche se il “basileus” aveva altri figli (che pure si era già associato nel 924), egli preferì anteporre loro il legittimo sovrano Costantino VII. Fu probabilmente quest’atto a segnare la fine di Romano: vedendosi privati del potere, infatti, Stefano e Costantino (i due figli rimasti del Lecapeno) decisero di estromettere il proprio genitore con un colpo di stato (944); Romano I fu così condotto in esilio sull’isola di Prote, dove morì quattro anni dopo.

L’azione dei due Lecapeni si rivelò tuttavia avventata: senza l’autorevole presenza di Romano I, Costantino VII Porfirogenito poté sfruttare a pieno il sentimento di fedeltà della popolazione per la dinastia macedone e presto Stefano e Costantino furono estromessi dal potere grazie ad una sollevazione popolare e condotti in esilio (945): finalmente, a quasi quarant’anni e dopo essere stato erede al trono per trentatré anni, Costantino VII Porfirogenito riuscì ad essere incoronato unico imperatore. L’ascesa al trono è celebrata anche dalle monete: l’iconografia presente nei solidi coevi, ormai ben stabilizzata nel dritto con la presenza del Cristo Pantokrator, al rovescio raffigura il solo Costantino VII, con lunga barba, corona, globo crucigero e ricchi abiti cerimoniali.007È probabile che l’esclusione dal potere per così lungo tempo avesse ferito l’orgoglio di Costantino, ma il suo scarso interesse per gli affari di stato è certamente da attribuire al suo carattere schivo: egli infatti era più interessato allo studio enciclopedico, alle scienze e all’arte. I suoi interessi spaziavano dalla pittura alla storia, ma specialmente si volgevano alla letteratura: Costantino VII fu autore infatti di svariati trattati, i più importanti dei quali (“Il libro delle cerimonie” e “Sull’amministrazione dell’Impero”) sono oggi fondamentali per comprendere il complesso sistema delle dignità di corte bizantine e la struttura del “Gran Palazzo” di Costantinopoli.

L’incertezza della politica bizantina, sia interna che estera, durante il regno del solo Costantino VII (944-959) testimonia il carattere dell’imperatore; non è un caso, d’altra parte, che le grandi vittorie sugli Arabi siano state ottenute da Niceforo Foca e Giovanni Zimisce, due generali che avranno un ruolo notevole negli anni successivi, mentre a Costantinopoli il potere reale era gestito dall’imperatrice Elena, figlia di Romano Lecapeno; nel frattempo il giovane Romano II, associato al trono e nell’iconografia monetaria dal padre Costantino VII, trascorreva i suoi giorni nell’ozio e nella pigrizia.008La figura di Costantino VII si rivela dunque di difficile lettura: se da un lato il grande storico Ostrogorsky ammette che “egli viveva più nel passato che nel presente” (G. Ostrogorsky, “Storia dell’Impero Bizantino”, Torino 1968, p. 245.), dall’altro la passione per la letteratura del basileus lo pone come una delle più importanti fonti sulla vita di corte bizantina. Anche sul piano numismatico, il suo regno, pur non apportando notevoli cambiamenti all’iconografia imperiale di età macedone, segnò la definitiva affermazione dell’iconografia cristiana in ambito monetale: da questo momento, nei solidi, il trono sarà prerogativa unicamente di Cristo, non più dell’imperatore.