Memorie di un nummomane, capitolo 17

Si conclude il racconto in prima persona di un appassionato di monete, scritto da un appassionato di monete.

Dopo il sedicesimo capitolo, termina qui la pubblicazione con cadenza settimanale del libro di Demian Planitzer Memorie di un nummomane. Ovvero: tramonto di un collezionista di monete antiche (pp. 128, Albo Versorio edizioni, Milano 2017, € 9,50).

Capitolo diciassettesimo. Resurrezione

Di come la vita nasca dalla libertà.

“Le cime innevate biancheggiano sulla
mia coscienza bucata, i boschi rinsecchiti dal
freddo si spezzano nel mio cuore, una mano
mi stringe per salutarmi per sempre, sento i
testicoli svuotati, io che sprofondo, che annego
in questa assenza d’aria che mi sopraffà”.

Un grandissimo turbamento mi invade, il pensiero che non rivedrò
più le mie monete mi colpisce imprevisto allo stomaco, come un
pugno.
Getto via il sigaro e, piegato in due, inizio a vomitare dolorosamente.
Non capisco perché, la mia scelta è stata premeditata, ponderata, le
monete mi avrebbero fatto commettere i peggiori misfatti, ecco perché
ho voluto eliminarle dalla mia vita. Ma ora non credo più nella bontà
della mia determinazione, nella giustezza del mio proponimento,
nell’inequivocabilità del mio proposito.
La luce si spegne, la testa mi gira, le gambe vorticano a vuoto e non
si sorprendono di niente. Le cime innevate biancheggiano sulla mia
coscienza bucata, i boschi rinsecchiti dal freddo si spezzano nel mio
cuore, una mano mi stringe per salutarmi per sempre, sento i testicoli
svuotati, io che sprofondo, che annego in questa assenza d’aria che mi
sopraffà.
Accarezzo con il pollice il naso della mia statuetta, le labbra tumide,
le orecchie sorde, guardo crescere dentro di me un albero senza fronde.
Comincio a correre, disperato aumento la velocità, allungo gli arti
per sfuggire più in fretta, i piedi vanno a casaccio e faticano a seguire
con razionalità l’impeto del cervello, il cuore pulsa come non mai: la
mente si libera, gli occhi piangono perdendo lacrime dure come gocce
di resina di pino seccate dal freddo. L’aria gelida mi scalda il naso,
le guance si variopingono incredule. La gola sussulta ebbra mentre il
sangue fresco entra in tutti i penetrali della mia anima.
Raggiungo un olmo vecchissimo, pieno di fronde senza foglie, con la
corteccia rugosa come un elefante. Mi fermo, respiro affannosamente,
gli occhi lucidi e la mente levigata, le mani gelate rifiutano di muoversi,
abbraccio la grande creatura immobile, cercando di stringerla ma non
ce la faccio a farle il giro.
Sento la linfa che mi scorre sotto le mani, che mi vuole entrare nel
sangue, che vuole mescolarsi con i miei sentimenti.
“Dove hai il cuore tu? Dove hai il cervello che ti fa crescere, fiorire,
gioire?”, mi accorgo di chiedere in un sussurro dolce. Sento che il
tronco mi invade, mi pare di essere una lucertola che si solidifica al
sole o una lumaca divorata dall’insalata.
Vorrei gettare la mia statuina nella fessura che vedo là in alto, nera
e circondata di muschio, così da eliminare per sempre i lacci della
mia schiavitù.
Avverto che il grande olmo mi sorride, mi stringe con affetto,
che vorrebbe assorbirmi dentro di sé, proteggermi con la sua forza
invincibile.
Sento che un contadino taglia le viti là in fondo, mi sta guardando,
ma non posso più staccarmi da questa corteccia rugosa, da questo
olmo che è come un padre. Sento di trasparire dentro di lui, di
inluarmi. La mia statuetta mi cade dalla tasca e si infila in una buca
di sabbia che non avevo scorto. Ora vedo dentro il tronco le centinaia
di anelli che stanno ordinati e composti, e più in fondo intravvedo
una luce bagnata, rassicurante come la rugiada, dove voglio gettare
la mia statura.
Sento le gambe che fanno elica attorno a me e si confondono con
la linfa vitale dell’albero. Ora vedo il contadino vicino al mio corpo,
ma lo osservo come da un vetro. Si avvicina, tocca la pianta. “Ma
com’è che non mi vede?”. Gira attorno e guarda in su, forse per
vedere se mi sono arrampicato. Ho come l’impressione di essere
dentro al tronco, ma è larghissimo e così mi accorgo che posso
correre anche in su. Il contadino scuote la testa, tocca l’albero e si
incammina ancora sotto le vigne.
Io salgo sulla cima da dentro l’albero, ora vedo i campi, i prati, la
valle, la mia casa nuova… il crogiolo, dove ho fuso le mie monete,
perduto lontano.
Adesso mi accorgo che attraverso le piante del bosco, attraverso
le rocce, trasparentemente come l’acqua.
Un’armonia mi chiama vicino ad una fonte, un aura leggiadra mi
avvince, sento gli spruzzi di una cascata che canta…
Avverto la mia anima che riveste il mio corpo, che è esterna e lui
interno, ecco perché un alone luminoso mi circonda soffuso.
Non chiedetemi di più, non saprei aggiungere altro, lasciatemi
così come mi immaginate, come sono oggi 27 dicembre… ore
diciassette e cinquantatre.