Memorie di un nummomane, capitolo 12

Prosegue il racconto in prima persona di un appassionato di monete, scritto da un appassionato di monete.

Dopo l’undicesimo capitolo, continua la pubblicazione con cadenza settimanale del libro di Demian Planitzer Memorie di un nummomane. Ovvero: tramonto di un collezionista di monete antiche (pp. 128, Albo Versorio edizioni, Milano 2017, € 9,50).

Capitolo dodicesimo. Idea indiana

Di come, alle volte, i vaneggiamenti si accoppino bene con la realtà.

“…i miei pensieri si stanno allontanando
l’uno dall’altro e io scivolo in questo spazio
senza appigli, con l’inconscio che gioca a
calcio con la coscienza mentre io guardo
seduto in panchina”.
“E se dessi una mancia ad un caldarrostaio
per salire sul Tritone a cercare la mia moneta?”.

“E se dessi una mancia ad un caldarrostaio per salire sul Tritone a
cercare la mia moneta?”.
Mi liscio il mento dove ormai la barba che ho rasato ieri spunta
dura e vigorosa. Con l’unghia gratto la basetta che scende vezzosa
sotto l’orecchio. Mi avvio alacremente verso il centro, alla ricerca di
un caldarrostaio atletico.
Alcuni commercianti ambulanti stanno stendendo sui loro
asciugamani innumerevoli mercanzie. Cerco di ricamare una frase
che convinca a cercare quello che mi serve. Ogni tanto annuso la
manica per avere la conferma che il puzzo del barbone non abbia
infestato il mio giubbotto. Dico io, anche quella mi ci voleva. L’aria
frizzante mi fa bene, sento energia, avverto presagi favorevoli. Mi
pare di armonizzarmi con il mondo, lentamente. Attraverso la strada
su di un passaggio pedonale. “Se non calpesto le strisce bianche vuol
dire che troverò il medaglione”, i piedi evitano con naturalezza, senza
cambiare passo, i colori delle chiazze. “Bene!”, commento soddisfatto.
“Se incontro un nero nei prossimi cento secondi vuol dire che trovo
subito un caldarrostaio indiano che accetta”. Vedo proprio vicino a me,
seduto, un nero con il sorriso bianchissimo. “Se il prossimo semaforo
è verde allora tutto andrà liscio”, e il semaforo che incontro batte
proprio luce verde. Rincuorato fin nelle giunture dei piedi vogo nella
folla sicuro di me e della mia stella. Ringrazio Roma e la terra, ecco
che vedo un caldarrostaio proprio all’angolo, con il sacco di castagne
sotto al sedere e i marroni arrostiti nella padella sopra un bidone di
ferro tagliato a metà che una mano ravviva di brace.
Giro intorno perché non so come iniziare. Intanto le persone
camminano veloci ed affaccendate.
L’Indiano mi osserva, probabilmente ha notato subito qualcosa di
strano in me. Mi allontano e fingo di consultare la piantina di Roma.
Improvviso le frasi più strampalate ed insolite per un approccio
meno sospetto possibile.
L’Indiano, ora che sono tornato, mi guarda mescolando le castagne
già pronte. “Dieci castagne 5 euro”, mi suggerisce.
“Va bene”, rispondo.
Il ragazzo mi scruta con benevolenza. La carnagione scura, quasi
vellutata, gli occhi neri profondi e gioiosi, le sopracciglia cesellate da
un abile scultore orientale, i capelli rasati ai lati e elegantemente mossi
sulla fronte, forse ravvivati da qualcosa che però non è gel.
“Vuoi guadagnare 50 euro?”, improvviso fissandolo come in segno
di sfida, ma sottovoce per non essere udito mentre consegno i 5 euro e
ricevo il mio bel sacchetto fumante.
“50 euro, buoni”, commenta il ragazzo incuriosito.
“Cosa fare?”, continua disponibile.
“Ho perso un anello in una fontana, amico. Si tratta di andare a
prenderlo”, comunico disposto anche ad alzare il premio.
“Perché non prendi tu?”, mi chiede indicandomi col dito per essere
più comprensibile.
“Vuoi i 50 euro o no?”, ribatto bruscamente io.
“Anello d’oro?”, vuole sapere.
“Sì tutto d’oro e con una grossa moneta sopra”, e spiegando disegno
un cerchio con il pollice e l’indice come quando si fa “ok”.
“Buono allora. Dove è fontana?”.
“Ti porto io”, sentenzio.
“Non posso lasciare castagne”, osserva, “devo chiamare amico per
stare qua”.“Va bene”, sono le mie parole.
“Chiama pure”.
Mentre telefona al suo amico, sbuccio una castagna e il suo profumo
mi trasmette ricordi d’infanzia quando a Verona, in piazza delle
Erbe, vedevo le caldarrostaie che soffiavano sulla brace e intirizzite
offrivano i loro tesori caldi ai bambini.
Nella mia mente si accendono vari candelabri che mi fanno
intravvedere luci tremolanti di lampioni che solitari sonnecchiano in
un mare di nebbia caliginosa, come fari ondeggianti nel mare. Quando
l’alone della luce si espandeva come un’aureola a semplificare la vita
problematica dei Veronesi nelle strade del Natale. Quando i marmi
dei marciapiedi bruciavano di scarpe e di desideri inutili, quando
le vetrine narravano di un benessere che non c’era e le commesse
annoiate attendevano per ore truccate e ben vestite. Quando il mondo
del lusso navigava come un transatlantico occhieggiando dalle vetrine
incantate, mentre la folla immobile sospirava bugiarda. Palazzi senza
memoria privati delle palpebre degli scuri per non abbandonarsi la
sera in un sonno ristoratore che ora ospitano inutilità costose accanto
a chiese sconsacrate diventate pizzerie. Le vampate dell’effimero
diavoleggiano dai portoni di cristallo sotto finestre mute dagli affitti
impronunciabili e dalle griffe mondiali che si ubriacano di musica che
schizza a tutto volume da mille casse invisibili.
Torno a Roma in un lampo perché è arrivato l’amico dell’Indiano.
Un tipo basso sui quarant’anni che compiaciuto comincia subito
a divorare castagne. Il mio aiutante lo sgrida nella sua lingua, poi mi
dice “mangia tutto questo qua, andiamo in fretta”.
Eccomi a camminare con questo sconosciuto che ora mi si avvicina
e pronuncia “se trovo anello 100 euro”, io non rispondo ma sorrido
affermativamente.
Cosa ne sa questo del pezzo da tre solidi di Teodorico, cosa ne sa
che potrebbe valere centomila euro, pensate che abbia mai sentito
parlare della collezione Gnecchi? O di palazzo Massimo? Ma va!
Poi se trovo solo la moneta e non l’anello, gli darò comunque 100
euro, ragiono tra me.
Penso ai libri di numismatica che possiedo a casa, vado alle
monete che ho acquistato in tutti questi anni, ai professori che
insegnano numismatica all’università che se mi vedessero qui non
risponderebbero certo più alle mie e-mail.