Quando la moneta sostituì il baratto

Il re della Lidia Creso al cospetto del filosofo Solone in un dipinto ottocentesco.

La Grecia antica ha trasmesso regimi politici come democrazia e tirannide, scienze come geometria e fisica e invenzioni come gli specchi riflettenti e la moneta. A detta dello storico Erodoto la moneta sarebbe nata in Lidia, regione di confine fra i regni asiatici più occidentali e l’inizio dell’area di influenza greca. La testimonianza di Erodoto è stata confermata dal ritrovamento nella zona corrispondente alla attuale Turchia occidentale di un ricco deposito di offerte votive nel basamento del tempio di Artemide a Efeso. Fra gli oggetti identificati dagli archeologi anche un tesoretto di 87 monete: coniate in elettro, una lega naturale di oro e argento che in Lidia si trovava in abbondanza in natura nella sabbia del fiume Pattolo, erano piuttosto grezze, globulari, spesse, anepigrafi, con simboli soltanto su una faccia – teste di animali o divinità – e sull’altra il segno dell’incuso, quadrati o rettangoli impressi profondamente che indicavano una delle tecniche della coniazione. Gli studiosi, che le hanno datate agli ultimi decenni del VII secolo a.C., le ritengono le prime del mondo, quelle che, diffondendosi dall’Asia minore verso est e soprattutto ovest assicurarono all’invenzione il successo nei secoli.

Ai tempi di Omero, prima dell’introduzione della moneta, tutto si contava in buoi:
un uomo ne valeva 100, un’armatura di bronzo 9, una donna da 4 a 20 a seconda della bellezza

La moneta in elettro della Lidia datata 650-610 a.C. rappresenta la testa di un leone a fauci spalancate e mostra al rovescio segni di incuso. Forma globulare, spessore, assenza di legenda le identificano come primi esempi di monetazione.

Le origini delle moneta sono indissolubilmente legate al re di Lidia Creso, la cui ricchezza era leggendaria: il nome stesso, Creso, in greco antico rimanda al concetto di oro. Fu lui che a metà del VI secolo a.C. introdusse una regolare monetazione bimetallica, in oro e argento (il rame sarebbe arrivato due secoli dopo), perché l’utilizzo di metalli puri evitava l’incertezza della composizione di una lega all’interno di un sistema di pesi ben definito.

Arcaica – 650-610 a.C. – anche l’hekté di elettro della Lidia, che riporta una sola faccia incisa, con una testa di cinghiale, e al rovescio segni di incuso.

Nel VII secolo e nella prima metà del VI a.C. nelle regioni costiere dell’Asia minore e sulle isole che le fronteggiavano l’unità di misura delle monete era infatti lo statere di elettro, pesante circa 16,50 grammi. In elettro era anche l’hekté, equivalente alla sesta parte dello statere, del peso di circa 2,34 grammi. Questi due valori nominali hanno originato bellissime serie monetali molto diffuse nel Mediterraneo orientale. Le più note sono quelle di Cizico, coniate in maggiore quantità e per più lungo tempo e che hanno servito ai commerci nell’Egeo fino all’età alessandrina: erano facilmente riconoscibili per la ricorrente presenza del tonno, simbolo della città.

Un gallo e la foca simbolo di Focea occupano una faccia dell’hekté coniato attorno alla fine del 600 a.C. dalla città ionica.

Lo statere d’oro di Cizico, in Asia minore, coniato attorno al 500 a.C., effigia una leonessa che sovrasta il tonno, emblema della città. Non servivano legende, bastava l’immagine a indicare l’autorità emittente.

Fra VI e V secolo a.C. inizia anche la ricca serie di hekté in elettro di Focea, con il simbolo della foca, emblema parlante della città, la cui emissione continuò sino ai tempi di Alessandro Magno. Simili a queste, ma personalizzate secondo le caratteristiche delle singole città, anche le monete di Mileto con il leone, Efeso con il cervo, Lampsaco con la protome di Pegaso, Chio con la sfinge. Ricorrente anche la presenza di dei e dee, gli abitanti dell’Olimpo erano chiamati in causa come protettori della città e garanti della bontà della moneta.