DALLA MONETA DI NAPOLI ALLA LIRA: VICENDE MONETARIE IN MERIDIONE | 2

Come si è osservato esaminando il Decreto n. 1880/1864, che fin dal 30 settembre 1864 aveva disposto la cessazione del corso legale delle valute auree non decimali borboniche, e ciò sebbene esse non avessero mai avuto tale prerogativa, ci sembra del tutto improprio che il Decreto del 1885 ribadisca tale disposizione. Ciò può al più far pensare che pur dopo il ritiro di queste specie monetali, disposto dal Decreto n. 1880 del 1864, vi fosse ancora – non in circolazione ma “sul mercato” – un quantitativo non indifferente di moneta aurea borbonica, tale da giustificare la reiterazione del provvedimento a distanza di oltre vent’anni. Al contrario, è di fondamentale importanza la disposizione che pose fuori corso le monete d’argento di conio borbonico, che rappresenta la vera novità del Decreto.

La tabella allegata al Decreto n. 3370/1885 illustra le specie di cui si fa cessare il corso legale nonché il corrispondente ragguaglio alla lira italiana. Da essa possiamo notare come il rapporto di cambio fra specie borboniche e moneta italiana sia sempre quello già descritto dalla tabella allegata al Decreto n. 123 del 1861 ovvero: un ducato d’argento è pari a 4 lire e 25 centesimii mentre il pezzo da tre ducati d’oro si cambia a 12 lire e 75 centesimi. Così, in proporzione, tutte le altre monete d’oro e d’argento borboniche.

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In realtà, la tariffa allegata al Decreto n. 3370/1885 non tiene conto del fatto che il ragguaglio effettuato nel 1861 si basava sulla lira avente un titolo d’argento di 900 millesimi mentre, a partire dalla Legge sull’unificazione monetaria del Regno d’Italia (n. 788/1862 il titolo della lira e dei suoi spezzati verrà portato a 835 millesimi. Dunque, il cambio di moneta borbonica contro la lira italiana, attuato nel 1885 anziché nel 1861, comporterà una perdita per il portatore della prima valuta in conseguenza della diminuzione del fino contenuto nella nuova moneta. Forse a causa dell’elevato numero di monete borboniche d’argento provenienti dall’estero e presentate per la conversione in lire, con Regio Decreto 29 novembre 1885 n. 3834 si stabilì che dal 30 novembre 1885 il cambio delle piastre d’argento di conio borbonico, provenienti dall’estero, si dovesse effettuare solo nelle tesorerie di Bari e di Catania.

Della monetazione dell’ex Regno Delle Due Sicilie rimangono a questo punto in corso legale in tutto il Regno d’Italia, lo scudo da lire 5 e le monete d’oro da 40 e da 20 lire coniate a Napoli a nome di Gioacchino Napoleone. Lo scudo e la moneta da 20 lire sono infatti perfettamente conformi all’ordinamento monetario italiano mentre la moneta da 40 lire, sebbene di nominale non più contemplato dalla legge, è ancora in corso legale, non essendosi ancora provveduto al suo ritiro definitivo.

Le due specie auree, come d’altronde tutte le monete d’oro del Regno d’Italia, non vennero mai poste formalmente fuori corso, mentre lo scudo di Murat, analogamente a tutte le altre monete da Lire 5 aventi identiche caratteristiche di peso e di titolo, cessò dalla circolazione solo a seguito del Decreto ministeriale 7 marzo 1928 con decorrenza 10 marzo 1928, sebbene il corso legale degli scudi (così come peraltro quello della moneta aurea) fosse ormai divenuto puramente simbolico da almeno un quarto di secolo.

(leggi qui la prima parte)