Le banconote della Repubblica negli anni Settanta

Il quarto appuntamento della breve rassegna dedicata alla storia della lira nella cartamoneta ci porta nell’Italia degli anni Settanta.

Di Claudio Giacchetti. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, si capì subito che la festa era finita. Prima con la rivoluzione culturale e sociale del Sessantotto, partita dal maggio francese e dilagata velocemente in tutto il mondo occidentale, poi con la crisi energetica del 1973 che mise gli italiani letteralmente a piedi. Le banconote dei tempi buoni continuarono a rimanere in corso, c’era altro a cui pensare. Però le crisi si susseguivano.

I miniassegni

Nel 1975 la Zecca non fu in grado di rifornire il mercato di spiccioli, così prima le aziende commerciali e poi le banche si organizzarono con l’emissione di “miniassegni”, ovvero assegni circolari di piccolo importo che andavano a colmare la mancanza di monete. I primi miniassegni fecero la loro comparsa nel dicembre del 1975. Furono così chiamati perché erano assegni circolari ma più piccoli di quelli normali. 

Per superare il divieto di emettere moneta (prerogativa esclusiva dello Stato e delle Banche Centrali), le banche emisero dei veri e propri assegni circolari di piccolo taglio intestati a enti e società, già muniti della loro girata; in pratica, essendo così dei titoli al portatore, venivano scambiati di mano in mano come se fossero stati vera e propria moneta corrente. 

I miniassegni sparirono sul finire del 1978 quando l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato fu finalmente in grado di sopperire alla mancanza di spiccioli provocata dall’inflazione che in quel periodo era elevatissima.

Tra il 1976 e il 1979 la Banca d’Italia rinnovò completamente le sue banconote, mettendo in circolazione una serie di quattro valori (5.000, 10.000, 50.000 e 100.000) stilisticamente molto diverse da quelle allora in corso.

I pittori del Quattrocento

Sparivano di nuovo i personaggi storici per lasciare il posto a libere interpretazioni tratte da opere di pittori quattrocenteschi, quasi a volersi rifugiare nei secoli passati. Il volto di Antonello da Messina (Messina 1429 o 1430 – Messina 1479) tratto dall’olio su tavola Ritratto d’uomo conservato nella National Gallery di Londra era compariva sulla banconota da 5.000 lire.

5.000 tipo “ritratto d’uomo di A. da Messina – 1979

Il pittore Andrea del Castagno (Castagno, 1421 circa – Firenze, 1457) compariva invece sulle 10.000 lire, nella riproduzione del Ritratto d’uomo oggi conservato alla National Gallery of Art di Washington.

10.000 tipo “ritratto d’uomo a mezzo busto di A. del Castagno” – 1976

10.000 tipo “ritratto d’uomo a mezzo busto di A. del Castagno”. 30.10.1976

È interessante notare che da questa emissione in poi cambia l’immagine del contrassegno di Stato. Va in pensione la “medusa” che lascia il posto alle “Repubbliche marinare”.

Le 50 mila lire

50.000 tipo “volto femminile” 1977

A questa banconota sono legati un paio di aneddoti curiosi riguardanti l’effigie e le falsificazioni. Per quanto riguarda la prima è noto che il volto femminile raffigurato sul dritto non è ripreso da un’opera d’arte ma è stato ideato dal bozzettista Guglielmo Savini. Ebbene, una signora credette di riconoscersi in quel volto, così intentò un’azione legale contro la Banca d’Italia chiedendo di avere un corrispettivo per essere stata usata come effige nella banconota. Inutile dire che perse la causa.
Sul rovescio della banconota originale è presente una piccola imperfezione, infatti la linea che corre in basso, sotto la numerazione, presenta una piccola discontinuità nella parte destra. Un bravo falsario, agli inizi degli anni Ottanta riuscì a realizzarne una contraffazione assai pericolosa (tanto che di lì a poco la banconota venne posta fuori corso e sostituita), ma l’anonimo riproduttore addirittura “corresse” quell’imperfezione con una linea continua, rendendo così riconoscibile la falsificazione.

Botticelli, la serie sostitutiva

100.000 tipo “Primavera di Botticelli” – 1978

Il rarissimo esemplare raffigurato ha la serie sostitutiva X. Essa identificativa delle banconote che andavano a sostituire quelle con difetti di fabbricazione o imperfezioni e che venivano quindi scartate e distrutte prima della distribuzione. Del tutto identiche a quelle delle serie ordinarie, venivano impiegate per colmare i vuoti nelle mazzette che altrimenti sarebbero state incomplete per gli scarti di lavorazione. Prima del taglio in singole banconote, i fogli erano attentamente verificati manualmente da personale specializzato in modo che entrassero in circolazione soltanto banconote perfette. Le serie sostitutive rivestono un particolare interesse collezionistico a causa della loro difficile reperibilità. In passato furono serie sostitutive anche quelle con la lettera W e, in un caso (1000 lire “Verdi” 1° tipo) con la lettera Z.

Con l’euro, invece, le serie sostitutive sono scomparse in quanto i controlli di qualità sono oggi svolti del tutto automaticamente prima della numerazione degli esemplari risultati perfetti. Per una sorta di “legge del contrappasso” la serie X identifica i biglietti emessi dalla Germania, che stampa una quantità di euro maggiore degli altri Stati dell’Eurozona.

 

Le caratteristiche comuni

Dal punto di vista figurativo le banconote degli anni Settanta rappresentavano un ritorno al passato. Tutte avevano in comune la tendenza al monocromatismo, per cui in ognuna di esse è predominante un solo colore: marrone nelle 5.000, grigio nelle 10.000, blu nelle 50.000 e rosso nelle 100.000. Un’altra caratteristica condivisa è la presenza di motivi geometrici rappresentati nel rovescio, ispirati indubbiamente alla moda optical di quel periodo.

Biglietto di Stato da 500 lire “Testa di Aretusa – 1966

Anche il Poligrafico dello Stato, in quegli anni si uniformò alla linea di tendenza tracciata dalle banconote. Il biglietto di Stato da 500 lire tipo “Testa di Aretusa” che circolava dal 1966 venne sostituito con quello conosciuto come “Testa di Mercurio”, uscito nel 1974 e che sarà l’ultimo biglietto emesso dallo Stato. Resterà in circolazione, con un potere d’acquisto sempre più basso, fino alla sostituzione, nel 1982, con la moneta bimetallica dallo stesso valore facciale.

Biglietto di Stato da 500 lire “Testa di Mercurio” – 1974

Le mille lire…aspettano gli anni Ottanta

1.000 lire tipo “Marco Polo” – 1982

E la banconota più diffusa, quella da 1.000 lire? Non se ne parlò per oltre un decennio. Per due motivi: il primo, più romantico, era che evidentemente Giuseppe Verdi piaceva a tutti. Il secondo, più pragmatico – e più reale – era che il suo valore in termini di potere d’acquisto era diventato così basso che non allettava minimamente i falsari ed era quindi venuta meno la necessità di cambiare frequentemente la banconota.
Una considerazione a parte va fatta per i costi di produzione. Fabbricare una banconota tecnologicamente perfetta, con i tanti sistemi di protezione dalla contraffazione ai quali siamo oggi abituati (calcografia, microscrittura, filo di sicurezza, filigrana, fino ad arrivare agli inchiostri cangianti e gli ologrammi) aveva costi elevati.

Si dovette aspettare perciò una diminuzione del valore delle mille lire, in modo da poter produrre una banconota a basso costo che non fosse falsificata diffusamente, e così la nuova banconota da 1.000 lire fu prodotta solo nel 1982. Il grande navigatore veneziano era raffigurato in una versione senile, con una espressione indecifrabile, quasi a chiedersi che cosa ci facesse, disegnato lì sopra. Un’immagine molto diversa dall’iconografia celebrativa del personaggio, con lo sguardo fiero e volitivo.

Una curiosità: la “Marco Polo” è l’unica banconota in lire ad avere, nel verso, uno sviluppo verticale con la rappresentazione della facciata del Palazzo dei Dogi a Venezia.

 

 

 

 

 

 

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