BISANZIO IN MONETA:
“I VESTITI NUOVI DELL’IMPERATRICE”

(di Luca Mezzaroba) | Fin dalle sue origini, la vita dell’Impero Bizantino fu strettamente connessa alla sua capitale e in particolar modo alla figura del sovrano e della sua corte, che ne rappresentavano il fulcro simbolico e politico. Secondo l’ideologia bizantina, infatti, l’imperatore e i suoi funzionari avrebbero dovuto rispecchiare la “corte celeste”: dalle cerimonie di incoronazione alla rigida organizzazione dei banchetti (in cui l’augusto, richiamandosi a Cristo, pranzava assieme a dodici “amici”) fino alla sontuosa scenografia con la quale venivano accolti gli ambasciatori stranieri, tutto doveva richiamare la divinità del sovrano e l’eternità dello Stato bizantino.

La figura imperiale rappresentava dunque il perno su cui si basava l’intera esistenza della corte di Costantinopoli; non deve quindi sorprendere se uno degli aspetti pubblici di maggior rilievo, per garantire l’armonia all’interno del Palazzo, era costituito dalla presenza di un’augusta al fianco del sovrano.

Per garantire la buona riuscita di svariate cerimonie palatine era infatti assolutamente necessaria la presenza di un’imperatrice, la cui assenza avrebbe d’altra parte provocato situazioni anomale. Nonostante questo, sarebbe sbagliato ritenere che le auguste avessero un autentico ruolo nella gestione del potere: a parte pochi esempi, di cui diremo più avanti, esse erano spesso relegate nei ginecei e la loro incoronazione, al contrario di quella dei consorti, non avveniva pubblicamente, ma all’interno del Palazzo e mai in concomitanza con quella degli imperatori. Questi ultimi, infine, avevano facoltà di nominare augusta anche una propria parente, una sorella o una figlia, scavalcando di fatto la consorte.001Per queste ragioni, l’iconografia legata alle sovrane non trova molto spazio nella millenaria storia monetaria bizantina: quasi tutte le auguste furono infatti figure di scarso spessore e solo poche tra quelle di maggior rilievo riuscirono nel prestigioso intento di farsi raffigurare nelle monete; tra queste, spiccano in modo evidente le sovrane del V e del VI secolo, legate cioè ai primi secoli di vita dell’Impero, le quali riuscirono ad esercitare un forte controllo sulla vita dello Stato grazie alla loro energia e, spesso, alla debolezza degli imperatori.

Un caso esemplare si verificò durante il regno di Teodosio II (408-450): il giovane sovrano aveva infatti solo pochi anni quando, alla morte del padre Arcadio, ascese al trono di Costantinopoli; tale situazione permise ad Elia Pulcheria e ad Elia Eudocia, rispettivamente sorella e moglie dell’augusto, di imporsi come reggenti e detentrici del potere. La forte personalità delle due donne fu evidente lungo tutto il regno di Teodosio II; in modo particolare Elia Eudocia fu ispiratrice di numerose iniziative culturali che incrementarono il prestigio della capitale. Figlia di un retore pagano ateniese, Eudocia seppe conciliare l’eredità classica della sua città con la sua fervente fede cristiana, sotto il suo patrocinio (425) l’università di Costantinopoli fu riformata e divenne il maggior polo culturale dell’impero. Alla morte senza eredi di Teodosio II, il carattere energico della sorella Pulcheria emerse nuovamente: fu probabilmente per sua intercessione che un ufficiale, Marciano, ascese al trono imperiale; per legittimare il nuovo sovrano, Pulcheria non esitò a sposarlo nonostante il suo precedente voto di castità.

Sia Pulcheria che Eudocia riuscirono a farsi raffigurare nelle monete, e in modo particolare nei tremisse e nei solidi d’oro. La rappresentazione delle due auguste è pressoché identica, esse infatti appaiono al dritto di profilo e rivolte verso destra, in capo portano una ricca corona con diadema e grosse perle, che doveva essere in uso sin dai tempi di Costantino I; entrambe indossano orecchini e portano al collo una collana, vestono infine la clamide, simbolo della loro regalità, tenuta sulla spalla da una fibbia, da cui scendono delle catenelle di perle. Nei solidi le imperatrici sono incoronate simbolicamente dalla mano di Dio; questo, nonostante la presenza sul rovescio della Vittoria alata, indica chiaramente il passaggio ad una dimensione cristiana dell’Impero (sottolineata anche dal rovescio del tremisse, in cui campeggia un’evidente croce racchiusa da una corona d’alloro).002Anche Marciano (450-457) morì senza eredi; questo portò sul trono imperiale un ufficiale originario della Tracia di nome Leone. Le vicende dinastiche e politiche legate alla famiglia di Leone I (457-474) sono molto complesse: in questa sede basterà ricordare che costui era sposato con Elia Verina, la quale per tutta la vita complottò in favore del fratello Basilisco, e che da lei egli ebbe una figlia di nome Ariadne. In seguito quest’ultima sposò un generale isaurico di nome Zenone che, in seguito alla morte del suo giovanissimo figlio Leone II e di Leone I, poté ascendere al trono.

Nonostante i suoi intrighi, anche Elia Verina ebbe l’onore di essere raffigurata su solidi e tremisse d’oro: l’iconografia è ancora fortemente legata a quella di Pulcheria ed Eudocia. Come le altre Auguste, anche la moglie di Leone I è rappresentata, sul dritto, di profilo e rivolta verso destra, indossa collana, orecchini e la corona con perle e diadema, nonché la consueta clamide trattenuta sulla spalla dalla fibbia. Nei solidi la mano di Dio si posa, come di consueto, a protezione dell’imperatrice, tuttavia è il rovescio che si presenta particolarmente interessante: nella legenda si leggono infatti espressioni quali VICTORIA AUGUSTI o SALUS REI PUBLICAE, che riecheggiano quelle presenti nei solidi del marito Leone I. Come sottolineato da Cécile Morrisson, questa tipologia di motti (a cui ne vanno aggiunti altri, quali VIRTUS, GLORIA EXERCITUS, FELICIUM TEMPUS REPARATIO, FELICITAS REI PUBLICAE) era già presente nel IV secolo ed era associata alla figura imperiale, vista ormai come unica difesa delle virtù del popolo romano e la sola in grado di far ritornare lo Stato alla passata felicità.003Già con Ariadne, figlia di Leone I e moglie prima di Zenone (474-475 e 476-491), poi di Anastasio I (491-518), l’abito delle auguste subì alcuni mutamenti significativi; di questa sovrana è infatti conservato, al museo del Bargello di Firenze, un dittico imperiale d’avorio che la ritrae in abiti da cerimonia. Ariadne, posta sotto uno sfarzoso baldacchino sorretto da quattro colonne (che potrebbe riprodurre un trono presente nel Gran Palazzo) regge un lungo scettro e il globo crucigero, in testa porta una corona, composta da una fascia di pietre preziose e decorata con una piuma, da cui scendono lunghi pendagli (“pendilia”) di perle. Al collo la sovrana indossa una collana e una sorta di ricco collare, detto “maniakis”, che i bizantini avevano importato dalla tradizione persiana. L’abito vero e proprio è composto dalla consueta clamide, ornata però da una duplice fila di perle e dal tipico “tablion”, una sorta di riquadro rettangolare con funzione decorativa; al suo interno si può notare la rappresentazione di un giovane sovrano, da identificare probabilmente con Leone II, figlio di Ariadne e morto precocemente.004È interessante notare come Ariadne, pur essendo stata moglie di due imperatori e pur avendo avuto un ruolo fondamentale nella politica bizantina della seconda metà del V secolo (ad esempio riuscendo a placare la tumultuosa popolazione di Costantinopoli, già pronta alla rivolta, imponendo al Senato il propriocandidato al trono, Anastasio) non ottenne mai l’onore di comparire da sola su un solido o un follis. Lo stesso vale per la celebre Teodora, moglie di Giustiniano I e donna certamente affascinante e dal carattere deciso. A dispetto delle sue umili origini (era un’attrice dell’Ippodromo) Teodora riuscì infatti a sposare l’erede al trono Giustiniano (523 circa) e, divenuta imperatrice, non esitò ad esercitare un’enorme influenza sul marito e sulla politica, ricevendo ambasciatori, facendosi promotrice di numerose leggi in favore delle donne in difficoltà e arrivando, con la sua fermezza, a salvare il trono del marito durante la terribile rivolta di Nika (532). Nonostante questo, l’immagine di Teodora non appare né nelle monete d’oro, né in quelle di bronzo, dominate invece dalla figura di Giustiniano.

Come è noto, comunque, una raffigurazione dell’imperatrice è presente nei mosaici della chiesa di San Vitale a Ravenna: gli abiti di Teodora sono simili e anzi ancora più sontuosi di quelli di Ariadne. L’Augusta, ritratta nell’atto di donare un calice d’oro alla chiesa, è nimbata e indossa una corona straordinariamente ricca, da cui scendono i “pendilia”, formati da una duplice fila di perle; al collo porta, come di consueto, una collana e il “maniakis”, mentre l’abito è formato da una tunica bianca e oro coperta dalla clamide porpora decorata con il “tablion”.005Nella seconda metà del VI secolo, l’abito delle imperatrici non subì particolari trasformazioni: a testimoniarlo sono proprio le monete, che ritraggono diversi successori di Giustiniano accanto alle proprie consorti. È tuttavia importante notare come le rappresentazioni di queste sovrane siano ormai limitate alle monete di bronzo (follis e mezzi follis) prodotte spesso in zone periferiche dell’impero. Il primo caso è rappresentato dai follis di Giustino II (565-578), nipote e successore di Giustiniano e marito dell’energica Sofia. In queste monete la coppia imperiale è rappresentata affiancata e seduta in trono: l’augusta, nimbata come il marito, indossa una corona da cui sembrano scendere i consueti “pendilia”, stringe un lungo scettro con croce e indossa la clamide. Anche se l’immagine non è molto chiara, Sofia sembra avere anche una collana.

Non si conosce il motivo per cui, nei follis, Giustino II abbia scelto di farsi raffigurare con la moglie; forse la ragione va ricercata nella debolezza del sovrano (che in effetti abbandonò il trono nel 574 per il crescere della sua follia) o nella forte personalità di Sofia, probabilmente parente di Teodora, la quale riuscì non solo ad imporre sul trono il proprio favorito Tiberio II (578-582) ma anche ad opporsi a personaggi molto potenti, come il conquistatore dell’Italia Narsete.006L’abito delle imperatrici è infine ben visibile in altre due monete di bronzo: il pentanummo di Maurizio Tiberio (582-602) e il follis di Foca (602-610). Nel primo, coniato nella lontana Cherson di Crimea, l’augusta Costantina affianca il marito e i due, in piedi e con l’aureola, vestono gli abiti di cerimonia. Come Sofia, anche Costantina regge un lungo scettro con croce, indossa poi la corona con i “pendilia” e porta sicuramente la collana e la clamide. Quest’ultima è decorata con una fila di perle e nella parte inferiore presenta delle pieghe, le quali potrebbero indicare la presenza del “tablion”, chiaramente visibile sulla clamide dell’imperatore e su quella del figlio Teodosio (la figura presente al rovescio). Gli abiti di Leonzia, moglie di Foca, coincidono con quelli visti in precedenza: nella moneta sono infatti chiaramente visibili la collana, le perle che decorano la clamide e le pietre preziose della corona.

Con l’avvento dalla dinastia Eracliana e, successivamente, di quella Isaurica, le rappresentazioni di imperatrici nelle monete sia d’oro che di bronzo diventeranno sempre più rare; questo non significa che non appariranno più donne nelle monete, anzi, tuttavia la loro presenza (a parte alcuni casi particolari) sarà legata soprattutto al ruolo di reggenti per i figli minorenni e alla nuova funzione che assumerà la moneta nell’ideologia bizantina, vale a dire l’esaltazione della famiglia regnante rappresentandone tutti i componenti.