Teche GdN:
QUEGLI ARCHI IN MONETA? UN VERO TRIONFO

(di Chiara Marveggio | dal “GdN” n. 23 di dicembre 2013, pp. 34-39) | Giovan Pietro Bellori (Roma, 1613-1696) fu una figura di riferimento dell’antiquariato e del collezionismo numismatico barocco, storico dell’arte ed illustre scrittore, nominato “commissario delle antichità di Roma” da papa Clemente X e autore di una copiosissima raccolta di opere, oggi accessibili alla consultazione del grande pubblico grazie all’interessante progetto di schedatura online del “Corpus informatico belloriano”, promossa dal Centro di ricerche informatiche per i beni culturali della Scuola normale superiore di Pisa.

Tra i suoi scritti, uno di quelli certamente più affascinanti dal punto di vista numismatico è “Veteres arcus Augustorum triumphis insignes ex reliquiis quae Romae adhuc supersunt cum imaginibus triumphalibus restituti antiquis nummis notisque”, stampato nel 1690, che riprende in parte il già edito “Admiranda Romanarum antiquitatum ac veteris sculpturae vestigia”. Nell’opera, Bellori si sofferma sul tema degli antichi archi trionfali romani, prendendo spunto da alcune monete presenti, probabilmente, nella sua collezione, che, grazie anche alle raffinatissime incisioni del perugino Pietro Santo Bartoli (1635-1700), è possibile in alcuni casi rintracciare nel terzo volume del “Thesaurus Brandenburgicus Selectus” del 1701 di Lorenz Beger: dopo la morte di Bellori gran parte della sua raccolta fu infatti acquistata da Federico I di Prussia, mentre tra il 1723 e il 1726 i pezzi migliori confluirono nella collezione di Augusto III di Sassonia, per poi essere trasferiti a Dresda.

A metà tra l’interesse archeologico e quello artistico-architettonico, lo sguardo dell’erudito, in sintonia con la sensibilità dell’epoca, dovette essere molto colpito dalle imponenti strutture che, inglobate nel tessuto urbano delle varie città, testimoniavano la grandezza e la gloria passata dell’Urbe. Gli archi di trionfo non rappresentavano che una delle architetture più scenografiche e monumentali, ma anche acquedotti, basiliche, fori, anfiteatri, colonne e obelischi iniziarono presto proprio nel Seicento a risvegliare una nuova coscienza storica, dopo un secolo di devastazioni: nel 1518 Raffaello scrive a Leone X di aver visto distruggere, durante i suoi anni trascorsi a Roma, sia la porta trionfale delle Terme di Diocleziano, che il tempio di Cerere nel Foro, oltre ad una parte del Foro di Nerva e alla Basilica di Costantino. Purtroppo, le spoliazioni dei marmi e le demolizioni delle strutture continuarono anche nei due secoli successivi, complici le grandi riforme urbanistiche promosse, tra gli altri, da papa Sisto V, ma, tramite l’opera di studiosi ed appassionati, si sono oggi tramandate fino a noi, se non le architetture, almeno la loro memoria, come ad esempio grazie alle stampe di Giovan Battista Piranesi.

L’arco di trionfo veniva eretto in onore della vittoria di un generale su un nemico straniero, in occasione della sua processione solenne insieme ad un corteo militare e al bottino di guerra lungo il percorso della “via sacra”, dal foro romano fino al Campidoglio; questa tradizione affondava le sue radici fin negli antichi rituali etruschi e rappresentava un momento di festa per tutta la città, non solo come consacrazione della figura del condottiero triumphator, ma anche a celebrazione della forza e del potere della stessa Roma.

L’opera di Bellori è dedicata innanzitutto alla puntuale ed approfondita descrizione degli archi che, ai tempi, erano ancora visibili (o lo erano stati fino a poco prima) a Roma: di questi, oggi ne sopravvivono integri soltanto tre, quello di Tito, quello di Settimio Severo e quello di Costantino, mentre l’Arco di Portogallo, situato sulla Via Lata, l’attuale Via del Corso, forse di epoca tardoantica, fu demolito nel 1662 e dunque proprio davanti agli occhi di Bellori. Dell’Arco di Gallieno, frutto della modifica della Porta Esquilina, edificata in età serviana (VI secolo a.C.), e rappresentato nelle incisioni di Bartoli come a tre fornici e sormontato da un timpano, non rimane invece che il fornice centrale, mentre i due laterali furono abbattuti nel 1447, per fare posto alla Chiesa dei santi Vito e Modesto, tuttora addossata alla struttura. In questo caso, appare subito evidente come la volontà dell’autore fosse già diretta ad un intento ben più che descrittivo, ma anche ricostruttivo e reinterpretativo.

N. 1 | In alto a sinistra, disegno n. 1 tratto dall’opera del Bellori; in alto a destra, disegno tratto dall’opera del Berger; sotto, denario (16 a.C. circa). Augusto, D/ Testa nuda di Augusto a destra, R/ Arco trionfale a tre fornici sormontato da una quadriga con, a destra e a sinistra, due figure di Parti sottomessi; sull’architrave dell’arco l’iscrizione S . P . Q . R . | IMP CAES; in esergo L . VINICIVS (triumviro monetale). Zecca di Roma, Ric I, p. 68, n. 359. Denario ex asta Nac
N. 2 |  In basso a sinistra, disegno n. 2 tratto dall’opera del Bellori; in basso a destra, disegno tratto dall’opera del Berger; sotto, denario (o aureo) (18-16 a.C. circa). Augusto, D/ S P Q R IMP CAESARI AVG COS XI TRI POT VI; testa nuda di Augusto a destra (o a sinistra), R/ CIVIB ET SIGN (o SI GN) MILIT A PART (o PA RT) RECVP (o RECVPER); arco trionfale a tre fornici sormontato da una quadriga con, a destra e a sinistra, due figure stanti con un’aquila e un arco. Spagna, zecca incerta (Colonia Patricia?), Ric I, p. 50, nn. 131-137. Denario ex asta Cng

Ma l’aspetto più interessante dell’opera, soprattutto dal punto di vista numismatico, è senza dubbio il capitolo conclusivo, dedicato appunto agli archi rappresentati sulle monete e andati oggi, come già allora, perduti, che fornisce un rapido elenco di dodici esemplari, quasi tutti abbastanza agevolmente identificabili, pur tenendo conto di alcune imprecisioni sia rappresentative di Bartoli, che descrittive di Bellori.

I primi archi trionfali presenti sulle monete risalgono al periodo augusteo; del primo lo studioso non fornisce alcuna indicazione epigrafica, se non la scritta in esergo, sul rovescio, L. VINICUS, riferita all’omonimo magistrato, e l’iscrizione sull’architrave dell’arco S. P. Q. R. IMP CAESAR; si tratta presumibilmente del denario “Ric” I, p. 68, n. 359, emesso a Roma nel 16 a.C. Del secondo arco viene invece individuata sia la legenda del dritto (IMP. CAESARI AUG. COS. XI TR. P. VI S. P. Q. R.), che quella del rovescio (CIVIB. ET. SIGN. MILIT. A. PA RT. RECVP.), e la moneta potrebbe dunque corrispondere ai denari (o aurei) “Ric” I, p. 50 n. 131 o 132 o 135 o 136, tutti riferibili al biennio compreso tra il 18 e il 16 a.C. e probabilmente pertinenti ad una zecca spagnola (forse Colonia Patricia).

Tenendo conto che Augusto fu uno dei più produttivi mecenati a livello di edilizia pubblica e propagandistica e, d’altra parte, divenne in questo un modello per tutti i suoi successori, particolarmente complessa è l’identificazione di questi monumenti o, per lo meno, quella delle ragioni celebrative che vi corrisposero. Sono note quattro emissioni monetali di Augusto raffiguranti archi trionfali, due ad un solo fornice (“Ric” I, p. 82, nn. 508-510; “Ric” I, p. 60, n. 267) e due a tre (quelli appunto menzionati anche da Bellori), ma archeologicamente, nel foro romano, ne è attestato soltanto uno per tipologia.

Concentrando l’attenzione sull’identificazione degli archi a tre fornici, si può innanzitutto escludere che facciamo riferimento ad un medesimo monumento, essendo troppo marcate le differenze a livello dei dettagli architettonici; gli studiosi sono più propensi a riconoscere nei resti rinvenuti nel foro le tracce del primo di questi due monumenti, sebbene sia soprattutto l’iscrizione del secondo a dare conferma della sua dedica in occasione della restituzione delle insegne partiche perdute da Crasso e Marco Antonio.

N. 3 | In alto a destra, disegno n. 3 tratto dall’opera del Bellori; in alto a sinistra, disegno tratto dall’opera del Berger; sotto, denario (o aureo) (41-54 d.C. circa). Claudio, D/ NERO CLAVDIVS DRVSVS GERMANICVS IMP; testa laureata di Druso Maggiore a sinistra, R/ Arco trionfale ad un fornice sormontato da una statua equestre con, ai lati, due trofei; sull’architrave dell’arco l’epigrafe DE GERM. Zecca di Roma, Ric I, p. 125, nn. 69-70. Aureo ex asta Rauch
N. 4 | In basso a sinistra, disegno n. 4 tratto dall’opera del Bellori; in basso a destra, disegno tratto dall’opera del Berger; sotto, denario (o aureo) (41-54 d.C. circa). Claudio, D/ NERO CLAVDIVS DRVSVS GERMANICVS IMP; testa laureata di Druso Maggiore a sinistra, R/ Arco trionfale ad un fornice sormontato da una statua equestre con, ai lati, due trofei; sull’architrave dell’arco l’epigrafe DE GERMANIS. Zecca di Roma, Ric I, p. 125, nn. 71-72. Denario ex asta Nac

Terzo e quarto arco rappresentati sui medaglioni da Bartoli corrispondono invece alle due facciate del medesimo monumento, eretto dall’imperatore Claudio in onore del padre Druso Maggiore (Nero Claudius Drusus Germanicus) e celebrato appunto su queste due distinte emissioni (rispettivamente “Ric” I, p. 125, n. 70 e “Ric” I, p. 125, n. 71). L’arco trionfale viene da Bellori collocato lungo la via Appia, vicino alla porta Capena, come confermano le fonti storiche, che datano la sua realizzazione intorno al 9 a.C., anno della morte del generale; attualmente non è possibile rintracciare con sicurezza il monumento, da alcuni erroneamente confuso con un fornice dell’acquedotto antoniniano, ma sussiste anche la possibilità che sia stato inglobato all’interno della Porta Appia (o di San Sebastiano) come controporta, definendo così un cortile appena all’interno della struttura originaria, a seguito di un suo ampliamento. Si ritiene inoltre plausibile che sempre questo medesimo arco corrisponda a quello presente anche su un areo del 41-42 d.C. (“Ric” I, p. 122, n. 3), semplicemente con il riferimento a Claudio stesso e non più al padre, ma non è neppure da escludere che possa rifersi ad uno degli altri monumenti edificati dall’imperatore, almeno quattro, senza contare che uno di questi potrebbe corrispondere ad un altro arco ancora presente invece su un sesterzio del 41-50 d.C.) (“Ric” I, p. 128, n. 98).

Il quinto arco rappresentato da Bartoli è sicuramente dedicato alla vittoria di Claudio durante la campagna contro i Britanni nel 43 d.C., come la stessa epigrafe sottolinea; l’arco fu probabilmente edificato intorno al 51 o 52 d.C., sfruttando e monumentalizzando un’arcata dell’acquedotto dell’Aqua Virgo, sull’antica Via Lata, ed ottenendo così una struttura ad un unico fornice sormontata da un architrave con il relativo impianto decorativo; parti delle iscrizioni dedicatarie sono oggi conservate presso i Musei capitolini, mentre l’intero monumento cadde probabilmente progressivamente in rovina nel VIII secolo; nel 1562, nel 1641 e poi ancora nel 1869 parte delle strutture furono nuovamente messe in luce al n. 14 di Via del Nazareno e lo stesso Piranesi offre un’immagine ricostruttiva dell’arco molto suggestiva. Corrisponde sicuramente a “Ric” I, p. 123, n. 30.

Rispetto alle raffigurazioni presenti nel “Thesaurus” e, per altro, alle monete originali, è molto interessante a questo punto osservare come la resa della tecnica incisoria di Bartoli comporti la visione speculare delle immagini delle architetture e degli apparati decorativi, mentre nel caso delle iscrizioni sugli architravi degli archi, l’autore ha giustamente corretto l’orientamento del testo per garantirne la leggibilità.

L’erede di Claudio, Nerone, continuò sulla scia dei suoi predecessori, ma anche solo dopo una rapida occhiata all’arco ritratto sulle sue monete (“Ric” I, p. 161, nn. 145-146) è subito evidente che lo stile delle rappresentazioni è radicalmente mutato: le raffigurazioni dei monumenti presenti sui nominali precedenti sono infatti accomunate da una radicale tendenza all’enfatizzazione dell’apparato decorativo, soprattutto per quanto riguarda le statue che sormontano gli archi e le iscrizioni sugli architravi, mentre le strutture architettoniche vere e proprie sono poste palesemente in secondo piano, semplici, essenziali, schiacciate sotto il peso di questi elementi anche dal punto di vista dimensionale. L’arco costituiva un semplice veicolo di un messaggio ben preciso, puntualmente espresso ed impresso nel marmo e nel bronzo. I suoi livelli di lettura erano tre: per l’osservatore distratto e superficiale, la monumentalità, per la maggior parte della popolazione, le immagini, i bassorilievi e le sculture, e, per le categorie un po’ più colte, le iscrizioni, molto semplici e ad effetto. Proprio su questi due elementi si concentrava ovviamente la rappresentazione delle monete, dovendo escludere la visione diretta del monumento, e racchiuderne tutto il suo messaggio propagandistico in pochi centimetri di metallo.

N. 5 | In alto a sinistra, disegno n. 5 tratto dall’opera del Bellori; in alto a destra, disegno tratto dall’opera del Berger; sotto, aureo (46-47 d.C. circa). Claudio, D/ TI CLAVD CAESAR AVG P M TR P VI IMP XI; testa laureata di Claudio a destra, R/ Arco trionfale sormontato da una statua equestre con ai lati due trofei, dedicato alla vittoria di Claudio contro i Parti e sull’architrave l’iscrizione DE BRITANN(I). Zecca di Roma, Ric I, p. 123, n. 30. Aureo ex asta Künker
N. 6 | In basso a sinistra, disegno n. 6 tratto dall’opera del Bellori; al centro, sopra disegno tratto dall’opera del Berger, sotto sesterzio (62-68 d.C. circa). Nerone, D/ NERO CLAVD CAESAR AVG GERM P M TR P IMP P P; testa laureata di Nerone a destra (o a sinistra), R/ Arco trionfale con la quadriga imperiale accompagnata dalla Vittoria e dalla Pace con il caduceo e la cornucopia e due piccole figure di soldati; in una nicchia sul lato dell’arco la statua di Marte; a sinistra S e a destra C. Zecca di Roma, Ric I, p. 161, nn. 145-146. Sesterzio ex asta Nac; in basso a destra, ricostruzione 3d dell’arco a cura di Marco Tremari

Questo tipo di sensibilità dovette tuttavia progressivamente mutare nel tempo e l’importanza dell’architettura di questi monumenti affermarsi man mano anche in ambito numismatico: non più semplici supporti funzionali, ma parti integranti del tessuto urbano. Così, da Nerone in avanti, gli archi trionfali acquisiranno nuove realistiche proporzioni all’interno delle rappresentazioni numismatiche e scompariranno completamente le iscrizioni sugli stessi, sostituite, in parte, dalle legende esterne. E’ l’arco stesso a diventare veicolo della celebrazione, in un’usanza che è ormai pienamente affermata e che si è progressivamente diffusa in tutto l’impero. Particolarmente curioso è inoltre osservare come lo stile adottato da Bartoli nelle sue incisioni agisca sui tipi monetali come un filtro, armonizzando tutte le composizioni e operando in maniera molto moderna nella loro resa, alla ricerca del realismo.

Da questo punto di vista, sia gli antichi incisori della zecca che Bartoli hanno dunque contribuito a tramandare nel tempo la memoria di questi archi, anche se in maniera differente e da differenti prospettive, nell’apparente contraddizione di chi, pur potendo vedere direttamente dal vivo il monumento, lo rappresentò in maniera deformata, e chi invece, potendolo solo immaginare con la propria fantasia, ne propose un ritratto più che verosimile.

 Il settimo arco rappresentato da Bartoli appartiene a Galba e, presente in numerose altre varianti (“Ric” II, p. 236, nn. 77-84, corrisponde probabilmente a quello dell’asse del 68 d.C. “Ric” II, p. 236, n. 83; dal punto di vista della sua architettura, è molto simile a quello ritratto sul precedente esemplare di Nerone. Piuttosto complicato è riuscire a comprendere a quale evento fosse riferita l’edificazione di questo monumento e, dal punto di vista del riferimento archeologico, è possibile che sia da ricercarsi in terra spagnola più che italica, trattandosi di un’emissione forse di Tarraco e poichè proprio della provincia Hispania Terraconensis Galba fu console e governatore dal 61 a. 68 d.C., fino all’ascesa al trono. Oggi a Tarragona, lungo la via Augusta, è possibile invece ancora vedere un altro arco ad un unico fornice, ma non quadrifronte, né con una gradinata antistante il fornice, risalente alla fine del I secolo d.C., ed un altro a tre fornici, uno maggiore e due laterali minori, dedicato alla memoria di Lucio Cesare e quindi pertinente al primo periodo augusteo.

N. 7 | In alto a sinistra, disegno n. 7 tratto dall’opera del Bellori; al centro, asse (68 d.C. circa). Galba, D/ SER GALBA IMP CAESAR AVG P M TR P P P; testa di Galba a destra, R/ QVADRAGENS VMA REMISSA e in esergo S.C.; arco trionfale con statua equestre imperiale e tre prigionieri con le mani legate dietro la schiena seguiti da un ufficiale che avanzano da sinistra verso l’arco. Zecca spagnola (Tarraco?), Ric II, p. 236, n. 83. Asse da collezioni Ans; in alto a destra, ricostruzione 3d dell’arco a cura di Marco Tremari
N. 8 | In basso a sinistra, disegno n. 8 tratto dall’opera del Bellori; a destra, sesterzio (95-96 d.C. circa). Domiziano, D/ IMP CAES DOMIT AVG GERM COS XVII CENS PER P P P; busto drappeggiato dell’imperatore a destra, R/ S. C. nel campo; arco trionfale sormontato da due quadrighe di elefanti. Zecca di Roma, Ric II, p. 206, n. 416. Sesterzio ex asta Gorny & Mosch

Nella produzione monetale di Domiziano sono da ascrivere le due monete seguenti, una corrispondente a “Ric” II, p. 187, n. 261 e una p. 203, n. 391, rispettivamente dell’85 e del 90-91 d.C.; il tipo sul rovescio dell’arco si presenta sempre uguale, mentre la variante interviene sul dritto, sia per la testa laureata dell’imperatore, che sostituiva il busto drappeggiato, sia per la legenda: IMP CAES DOMITIAN AVG GERM COS XI sulla prima, IMP CAES DOMIT AVG GERM COS XV CENS PER P P sulla seconda. Nella variante rappresentata da Bartoli nell’arco n. 7, che sembrerebbe corrispondere al n. 416, rimane tuttavia la differente indicazione della legenda del dritto, terminante con tre P, ma a livello di corrispondenza, data l’architettura, non sussistono dubbi.

Ben più complicata è invece l’identificazione del secondo esemplare di moneta, l’arco n. 9, che viene descritto da Bellori come uno dei tanti eretti da Ottaviano nei territori di Roma. A livello strutturale, quest’arco, appare simile a quello di Settimio Severo e Caracalla tra i Rostra e la Curia romana, nel foro, del 203 d.C., eccetto per la mancanza delle colonne interposte tra il fornice centrale e principale e quelli minori laterali e, ovviamente, per lo specifico apparato decorativo. A livello numismatico non sussistono corrispondenze rispetto a questi tipi monetali e alla legenda di Bellori e, purtroppo, la moneta non compare neppure di nuovo all’interno del “Thesaurus Brandenburgicus Selectus”, così da poter avere conferma dell’effettiva correttezza della sua rappresentazione. Rimane un mistero.

N. 9 | In alto a sinistra, disegno n. 9 tratto dall’opera del Bellori; a destra, ricostruzione 3d dell’arco a cura di Marco Tremari
N. 10 | In basso a sinistra, disegno n. 10 tratto dall’opera del Bellori; a destra, sesterzio (99-100 d.C.). Traiano D/ IMP CAES NERVA TRAIAN AVG GERM P M; testa laureata a destra, R/ Arco trionfale a tre fornici con una quadriga con l’imperatore e due Vittorie. Zecca di Roma. Ric II, p. 274, n. 420. Sesterzio ex asta Cgn

Con il decimo, l’undicesimo e il dodicesimo arco siamo ormai di fronte a incisioni sempre più curate ed architetture più elaborate: la decima e l’undicesima moneta corrispondono a due sesterzi di Traiano, rispettivamente uno del 99-100 d.C. (“Ric” II, p. 274, n. 420) e uno del 103-111 d.C. (“Ric” II, p. 284, nn. 572-573), mentre la dodicesima a un asse di Caracalla del 204 d.C. (“Ric” IVa, p. 2u80, n. 419).

Per quanto riguarda l’Arco di Traiano, come già con Augusto, ci troviamo davanti a testimonianze discordanti: dal punto di vista archeologico, sopravvivono le strutture di due archi dedicati a Traiano ad Ancona e a Benevento, ma si tratta in entrambi i casi di monumenti ad un unico fornice; la struttura rappresentata sulla prima moneta è invece a tre fornici. Dal punto di vista delle fonti storico-letterarie, è invece tramandata memoria della dedica da parte del senato di un arco celebrativo all’imperatore nel 117 d.C., ma, sebbene gli studiosi abbiamo ipotizzato una sua collocazione all’interno del foro, non ne hanno mai trovato traccia: è possibile che la sua edificazione fosse stata semplicemente prevista, ma che non sia mai stata portata a compimento? A fronte di tutte le considerazioni precedenti in rapporti agli altri archi: possibile, ma non probabile. Queste medesime riflessioni sono da imputarsi anche al monumento dell’undicesimo arco, che, per la sua dedica alla vittoria sulla Dacia, si può ancor più avvicinare, anche se non dal punto di vista strutturale, a quello di Benevento.

N. 11 | In alto a sinistra, disegno n. 11 tratto dall’opera del Bellori; a destra, sesterzio (103-111 d.C.). Traiano, D/ S P Q R OPTIMO PRINCIPI S. C.; testa laureata a destra, R/ Arco trionfale con pannelli a bassorilievo, timpano triangolare con Giove stante; I O M; sormontato da un carro con sei cavalli guidati da due Vittorie. Zecca di Roma, RIC II, p. 284, nn. 572-573. Sesterzio ex asta Cng
N. 12 | In basso a destra, disegno n. 9 tratto dall’opera del Bellori; a sinistra, asse (204 d.C.). Caracalla. D/ ANTONINVS PIVS AVG PONT TR P VII; busto laureato e drappeggiato dell’imperatore a destra, R/ ARCVS AVGG S. C.; arco trionfale a tre fornici con quadriga e statue. Zecca di Roma, Ric IVa, p. 280, n. 419. Asse ex asta vAcutions

La rassegna degli archi trionfali di Bellori si conclude con quello di Caracalla, dall’identificazione ancora più incerta dei precedenti; anche in questo caso sono note più di un’architettura trionfale intitolata a questo imperatore, soprattutto in Africa, in Algeria a Djémila e a Theveste, e in Marocco a Volubilis, ma nessuna potrebbe corrispondere a quello rappresentato sempre per lo scarto tra uno e tre fornici. Ancora una volta la difficoltà di questo studio è infatti costituita proprio da questa necessità, più volte riscontrata, di sovrapporre tra loro i dati derivati dall’archeologia, dall’analisi delle fonti storiche e letterarie e da quelle numismatiche e di ricercare una coerenza che permetta di definire e trovare precise corrispondenze. Purtroppo il risultato non è stato sempre raggiunto, date le lacune che sono proprie di ciascuna disciplina, ma tutte insieme concorrono comunque a definire, pur se attraverso parziali pennellate, il quadro di una realtà varia e sfaccettata, dandoci l’idea sia dell’importanza di queste strutture monumentali che del loro valore propagandistico e celebrativo e della diffusione capillare con la quale dovevano essere distribuite sul territorio sotto il controllo romano. Non tutti gli archi trionfali sono sopravvissuti nel tempo fino a noi, ma certo ne si è tramandato il valore ed il modello, anche grazie all’opera certosina e fantasiosa di un grande collezionista e di un grande incisore, Giovan Pietro Bellori e Pietro Santo Bartoli.

 

Bibliografia essenziale

Aa.Vv. 1979, “Studi sull’arco onorario romano”.

Coarelli F. 1985, “Il Foro romano 2. Periodo repubblicano e augusteo”.

Coarelli F. 1988, “Il Foro boario dalle origini alla fine della repubblica”.

De Maria S. 1988, “Gli archi onorari di Roma e dell’Italia romana”.

Kleiner F. S. 1989, “The study of Roman triumphal and honorary arches 50 years after Kähler” in “Journal of Roman Archaeology”, vol. 2, 1989, pp. 195-206.

Malice M. 2005, “L’arco di trionfo: evoluzione tipologica dalle origini ai giorni nostri”.

Pazzini N. 2000, “Il linguaggio architettonico degli archi di trionfo romani: introduzione all’architettare”.