Teche GdN | Il significato della guerra sui rovesci di Emiliano

Marte e Diana sugli antoniniani del 253 d.C.

(di Raffaele Iula | dal GDN n.12 del 12.2012)

Spesso nel mondo antico, e in particolar modo in quello romano, la virtù, l’orgoglio personale e quello nazionale, il concetto di patria e di rivalsa sono sempre stati analizzati ed interpretati, ogni volta in modo diverso. A volte, invece, grandi personalità non hanno avuto neanche il tempo materiale di mettere in pratica le proprie volontà, sia politiche che individuali. È il caso di Marco Emilio Emiliano. 

Ritratto dell’imperatore Emiliano tratto da una delle sue monete

Nato a Gerba, in Mauretania, in un anno incerto (il più probabile è il 207 d.C. ca., anche se alcuni studiosi propendono per il 213 d.C.), si ignorano le vicende che lo riguardarono durante la gran parte della sua vita. Le notizie divengono certe a partire dal 252 d.C. quando Emiliano fu nominato governatore e capo militare della Provincia della Mesia Inferiore. Treboniano Gallo, successore dell’Imperatore Decio, sconfitto e ucciso dai Goti nel 251 ad Abrittus, umiliò l’Imperium Romanum pagando a peso d’oro una precaria stabilità nei territori balcanici invasi e saccheggiati dai barbari. Ormai anche costoro erano venuti a conoscenza delle grandi ricchezze e delle debolezze del potere di Roma. Nonostante questi patti, stipulati frustrando la dignità del popolo e del governo, i Goti tornarono a tormentare la Provincia proprio nel 253, quando Emiliano vi deteneva gli incarichi politici e militari.

“La difesa della monarchia, a cui il pusillanime imperatore pareva rinunciare, fu assunta da Emiliano […] che radunò le forze disperse e risollevò lo spirito depresso delle truppe” (cfr. Edward Gibbon, Declino e caduta dell’Impero Romano, Mondadori 2010). Non ci sono parole migliori per descrivere il grande impegno e la potente personalità che questo personaggio profuse nella difficoltosa situazione che si ritrovò a gestire. Le legioni, quasi affascinate dal suo modo di porsi e incoraggiate dalle sue parole di dispetto, respinsero gli attacchi dei Goti di Kniva e, oltrepassato il Danubio, colsero impreparati gli altri barbari che ormai erano sicuri della loro posizione.

Il trionfo fu decisivo, esplicito e totale. Emiliano, un funzionario di origini provinciali, aveva superato in ideali, azioni ed efficacia lo stesso imperatore che non era riuscito ad opporsi né ai Goti né tantomeno agli odiati Sassanidi orientali. I soldati stessi, riempitisi le tasche dell’enorme bottino di guerra e la bocca di lodi per il nuovo eroe di Roma, acclamarono Emiliano imperatore sui campi insanguinati, scenario della recente battaglia e di ciò che rimaneva della superbia gotica. Si era nel luglio del 253 d.C. Un periodo favorevole per gli scontri. L’ambizioso luogotenente non indugiò oltre e si precipitò con i suoi fedeli legionari in Italia, mirando ad impossessarsi del cuore stesso dell’Impero, ora che aveva ricevuto il titolo formale: Roma. La sua fretta era giustificata dalla minaccia che un altro governatore rappresentava per lui: Publio Licinio Valeriano, comandante delle truppe di stanza in Rezia e fedele servitore di Treboniano Gallo. Se il suo esercito renano si fosse unito a quello italico dell’imperatore le pretese di Emiliano sarebbero cadute in un bagno di sangue ancora prima di poter tentare qualche buon colpo.

La velocità con cui si precipitò in Italia costrinse Treboniano a mettersi in marcia con le sue legioni per fermare il rivale che, intanto, era stato dichiarato nemico della Patria da Senato, sotto la spinta dell’imperatore stesso. La guerra civile era alle porte e sembrava inevitabile. Lo scontro tra Treboniano ed Emiliano si ebbe presso Interamna (l’odierna Terni). I seguaci di Treboniano, che già avevano udito le imprese vittoriose compiute dall’avversario, furono prima sconfitti militarmente per poi essere corrotti col denaro e passare dalla parte di Emiliano. Treboniano, con suo figlio Volusiano, tentarono la fuga, ma furono uccisi dai propri soldati. Dopo l’entrata trionfale in Roma, il Senato, che poco prima gli era stato avverso, ne confermò l’acclamazione imperatoriale e rese ufficiale la sua nomina in tutto l’impero.

Marte, dio romano della guerra, scolpito sul Sarcofago Mattei conservato al Museo della civiltà romana

Divenuto l’unico padrone del potere politico, Emiliano elevò sua moglie, Gaia Cornelia Supera, anch’essa di origini africane, al rango di augusta allo scopo di instaurare una propria dinastia. Sembrava che nulla più potesse contrastare la sua volontà ed ora che aveva restituito l’onore di Roma alle sue istituzioni, espose al Senato le sue intenzioni di ritirarsi dalla vita politica per conservare il solo grado di generale. Intanto, a nord, fervevano i preparativi e Valeriano, che aveva appreso la notizia della morte dell’Imperatore, continuò la sua avanzata verso Roma, seppure in maniera lenta e pacata. Si ripeté, quindi, la stessa scena verificatasi poco tempo prima, ma questa volta le parti erano invertite: Emiliano, sicuro a capo delle sue truppe, mosse contro il rivale. I suoi legionari, però, impauriti dalla forza e dal numero dei componenti dell’esercito renano, preferirono uccidere colui che loro stessi avevano creato imperatore e consegnarsi al nemico. Era il settembre del 253 e l’avventura di Emiliano si era conclusa nel sangue proprio come era iniziata. Valeriano, come primo provvedimento, condannò colla damnatio memoriae i ricordi del predecessore e della sua augusta consorte.

 

La simbologia di una guerra lampo

La numismatica è stata sempre reputata, giustamente, uno dei migliori mezzi propagandistici, soprattutto nell’antichità. Nelle mani degli imperatori di Roma, la moneta ingrandisce le sue potenzialità comunicative, diventando un manifesto, oltre che funzionale, esplicativo e convincente, capace di essere compreso dai più, indipendentemente dallo strato sociale di appartenenza. Così, essa, come patrimonio imprescindibile dalla cultura di una società evoluta e civilizzata, ci ha trasmesso validamente un repertorio iconografico di grandezza e spessore non indifferenti. In questa sede sono da trattare i messaggi numismatici giuntici sui rovesci di alcuni antoniniani di questo imperatore. Emiliano, infatti, nonostante avesse trasmesso degli ideali così profondi rimase sempre molto legato al mondo militare e alla guerra. Ciò lo fa pensare anche il suo tentativo, purtroppo fallito, come abbiamo visto, di ritirarsi dalla politica per dedicarsi alle sole legioni e a liberare l’Imperium dalla minaccia barbara. Ma la guerra, si sa, è dispendiosa e porta con sé un bagaglio di lutti e distruzioni. Come presentarla, quindi, al popolo che, in qualsiasi epoca storica, si trova al centro delle vicende belliche, anche se, a volte, indirettamente? Semplice: Emiliano si affida alla moneta per delineare un’idea dei conflitti tutta particolare, come lo sono lo stile e la legenda di alcuni suoi esemplari. La simbologia guerresca di Emiliano si esprime al meglio in due casi: nella raffigurazione di Marte, dio della guerra, e in quella di Diana.

1.Antoniniano di Emiliano per la zecca di Roma (Ag, mm 22) coniato nel 253 d.C. D/ IMP. AEMILIANVS PIVS FEL. AVG., busto radiato, drappeggiato e corazzato a destra. R/ MARTI PROPVGT, Marte stante a sinistra in abito militare regge una lancia rivolta verso il basso e si appoggia ad uno scudo ovale. Ric 6; Rsc 25; Sear 9837 (fonte: Cng)

Marte, dio della guerra

Marte, il guerriero per eccellenza, fu popolarissimo tra i Romani e da loro particolarmente amato fino all’avvento del Cristianesimo. Di solito, l’iconografia monetale ci presenta la divinità con i suoi attributi fondamentali (elmo, lancia, scudo) e può indossare l’armatura completa o mostrarsi in nudità eroica con mantello. Certo è che la posa con cui spesso compare è molto dinamica, movimentata e ricca di energia, proprio come si addice a un atletico soldato pronto per la battaglia: la lancia puntata in avanti, l’eventuale trofeo sulla spalla o lo scudo proteso contro un nemico invisibile. Tali caratteristiche dovrebbero essere accentuate ancor di più nella figura di Marte Propugnatore. In quella di Emiliano presentata in fig. 1 si notano l’assenza di alcune di esse: Marte è stante, fermo, mantiene la posizione, quasi come se non fossero presenti nemici da combattere in un periodo tumultuoso come il 253 d.C. L’armatura completa, comunicante l’idea di una protezione più estesa, lo scudo posato a terra e la lancia resa inoffensiva rivolta verso il basso, denotano l’inattività guerresca del Marte di Emiliano che annulla, in questo modo, il suo impegno militare e l’idea del conflitto civile. Tutto questo contraddice la legenda, peraltro non comune in questi termini, che indica Marte come il combattente, il difensore.

La stessa idea di una inesistente pace portatrice di tranquillità e prosperità si evince sul secondo rovescio marziale di Emiliano.

2. Antoniniano di Emiliano per la zecca di Roma (Ag, mm 21) coniato nel 253 d.C. D/ IMP. CAES. AEMILIANVS P. F. AVG., busto radiato, drappeggiato e corazzato a destra. R/ MARTI PACIF, Marte andante a sinistra, protendendo un ramoscello d’ulivo e reggendo con una sola mano lancia e scudo. Ric 5b; Rsc 22 (fonte: Cng)

Nella moneta di fig. 2 il riferimento all’assenza di guerra è praticamente così evidente che lo stesso dio regge un ramo d’ulivo, porgendolo a un avversario inesistente con cui vuole, e ottiene, una pace duratura e vantaggiosa. Oltre al ramo e alla legenda, attestata più di consueto in questo modo, il guerriero, in abiti militari, regge lo scudo e, al di sotto, la lancia rivolta anche ora verso il basso, come simbolo dello scontro cessato. L’ignorare un conflitto civile per guadagnare l’auspicio delle divinità e il favore del popolo era l’augurio che, molto probabilmente, Emiliano volle esprimere attraverso questi particolari rovesci.

Diana, la cacciatrice

Maggiormente sorprendente e di più difficile interpretazione è la figura di un’altra divinità che, apparentemente, non ha nulla a che fare con l’imperatore e la sua “mania” per la guerra: Diana, effigiata sulla moneta di fig. 3 e su una variante della stessa conservata al Münzkabinett dello Staatlichen Museen di Berlino. La dea, raffigurata nelle sembianze di cacciatrice non ha nulla di militare se non la legenda. Ma perché Diana trionfa? E che cosa ha a che vedere con Emiliano? Per rispondere al primo quesito dobbiamo riflettere prima sul secondo. Stando a una testimonianza di Tito Livio (cfr. Storia di Roma, I, 3-7) il potere nel Lazio, e quindi su Roma e sul suo impero, fu garantito per la prima volta dalla dea a colui che avesse sacrificato dinanzi al suo tempio la giovenca più bella. Questo onore spettava a un sabino, ma il sacerdote romano gli sottrasse l’animale e, compiendo il sacrificio, ottenne la sovranità su Roma e sui suoi territori. Così, Diana, come donatrice del potere imperiale, fu effigiata sul rovescio di questa moneta. Allora l’epiteto vincitrice è più un augurio, visto in quest’ottica, rivolto a Emiliano e concessogli per volere di Diana stessa secondo il suo rapporto mitologico con la sovranità. Lo stesso concetto è espresso in modo più chiaro e comprensibile nella variante del suddetto esemplare, in cui la legenda si presenta estesa, leggibile e bene in vista.

 

3. Antoniniano di Emiliano per la zecca di Roma (Ag, mm 22) coniato nel 253 d.C. D/ IMP. AEMILIANVS PIVS FEL. AVG., busto radiato, drappeggiato e corazzato a destra. R/ DIANAE VICTRI. Diana stante a sinistra con arco e freccia. Ric 2b; Rsc 10 (fonte: Cng)