Vittorio Emanuele I, il reazionario che dovette arrendersi a Napoleone

Il periodo di transizione seguito alla caduta di Napoleone è ben rappresentato dalle coniazioni sabaude di Vittorio Emanuele I, che in soli due anni si arricchirono di tre diverse tipologie monetali.

Di Celeste Colombo. Dopo la sconfitta definitiva di Napoleone, i sovrani europei si affrettarono a cancellarne le tracce. Vittorio Emanuele I di Savoia fu tra i più solerti: rientrato a Torino nel maggio 1814, ripristinò immediatamente il sistema monetario settecentesco, che in epoca napoleonica era stato sostituito dal semplice e razionale sistema decimale. Diede quindi corso alla coniazione con millesimo 1814 di doppie d’oro da 24 lire e mezzi scudi d’argento da 3 lire. Con grande disappunto di Vittorio Emanuele, il ritorno alla vecchia monetazione dispiacque ai suoi sudditi e il re fu costretto a prendere atto della realtà adeguando la monetazione al sistema di derivazione francese.

Con la doppia d’oro da 24 lire del 1814 Vittorio Emanuele I abrogò l’impostazione decimale introdotta in epoca napoleonica ripristinando il confuso retaggio monetario settecentesco di tradizione sabauda. La doppia ne riprendeva sia l’iconografia sia la declinazione delle legende con i titoli nobiliari in latino. Il tentativo del re reazionario però fallì per lo scarso consenso riscontrato.

 

Il mezzo scudo da 3 lire fatto battere nel 1815 da Vittorio Emanuele I per cassare il sistema monetario napoleonico aggiungeva nella legenda il nuovo titolo di dux Ianuae, duca di Genova, attribuito al sovrano dal Congresso di Vienna. Anche questa tipologia non piacque ai sudditi.

Ed ecco quindi comparire le prime monete decimali sabaude, espresse in lire piemontesi, antesignane della monetazione in lire italiane, che sarebbe stata adottata poco più di quarant’anni dopo con la nascita del Regno d’Italia. Si tratta degli esemplari da 5 lire (scudo) e 20 lire (marengo), con caratteristiche tecniche di titolo e peso ben definite: rispettivamente 25 grammi di argento 900 e 37 millimetri di diametro, 6,45 grammi di oro e 21 millimetri di diametro. Nell’aspetto esteriore le differenze rispetto alle monete precedenti erano limitate all’effigie del re, diversa in particolare negli esemplari d’argento, mentre nelle legende erano mantenuti tutti gli antichi titoli nobiliari espressi in latino.

Introdotta nel 1816, la moneta d’argento da 5 lire – secondo il sistema decimale napoleonico – fu fra le prime monete decimali sabaude espresse in lire piemontesi. Precorreva di quarant’anni la lira italiana adottata con la costituzione del Regno d’Italia.

 

Ironia della storia, lo stesso incisore che aveva firmato le monete napoleoniche della Repubblica subalpina, Amedeo Lavy, realizzò anche i 20 lire d’oro per Vittorio Emanuele, sia il primo tipo, battuto dal 1816 al 1820, sia il secondo, del 1821, che riportava per la prima volta lo stemma sabaudo che sarebbe poi diventato quello ufficiale, con lo scudo crociato sormontato dalla corona e decorato con il collare dell’Annunziata fra rami d’alloro. Questo marengo circolò solo nei pochi mesi del 1821 che precedettero l’abdicazione di Vittorio Emanuele I.

La transizione dal sistema monetario settecentesco a quello decimale doveva essere completata con l’emissione delle monete divisionali in argento e dei multipli in oro, ma questo passaggio sarebbe stato affrontato compiutamente solo da Carlo Felice. Tuttavia Vittorio Emanuele I fece in tempo a proporne un assaggio nel 1821 con l’emissione di due nuove tipologie dello scudo e del marengo e della sua moneta più importante: un pezzo in oro da 80 lire datato 1821, l’ultimo anno del suo regno prima dell’abdicazione a favore del figlio Carlo Felice.

L’ultima moneta battuta da Vittorio Emanuele prima dell’abdicazione a favore del fratello Carlo Felice, l’80 lire introdotto nel 1821, presenta una novità: nello stemma riprodotto sul rovescio, molto più piccolo e a forma di cuore, i quarti di nobiltà presenti in precedenza sono del tutto eliminati per lasciare il campo alla sola croce di Savoia.