FASCIONE, FASCETTO E BUONO DA 2 LIRE: LE “PRIME” (NUMISMATICHE) DEL REGIME

documents-button(di Roberto Ganganelli) | Ogni regime, ogni dittatura, ogni governo giunto al potere per vie più o meno autoritarie ha, nel corso della storia, voluto celebrare il proprio avvento utilizzando quel formidabile mezzo propagandistico che è la moneta. Non fa eccezione, in questo, neppure il fascismo che, a seguito della Marcia su Roma del 28 ottobre 1922, con il suo duce Benito Mussolini entra prepotentemente nelle stanze del potere d’Italia, dando inizio a quella demolizione delle opposizioni che culminerà in pochi anni nella “fascistizzazione” dello Stato e nella sistematica repressione del dissenso. Nel 1923, ad esempio, la Guardia Regia viene sciolta per decisione del Gran Consiglio del Fascismo: la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale da quel momento sarà chiamata a mantenere l’ordine pubblico. Debutta, nello stesso anno, la giornata lavorativa di otto ore, ma viene abolita la festività del 1° maggio. La riforma Gentile, infine, porta l’istruzione obbligatoria fino all’età di 14 anni. Nel 1923 viene anche fondato il Consiglio Nazionale delle Ricerche per portare l’Italia all’avanguardia scientifica nel mondo, mentre la popolazione – complice la diffusione del mezzo radiofonico – applaude Costante Girardango alla sua seconda vittoria nel Giro d’Italia. Don Sturzo fonda “Il Popolo” e Giovanni Agnelli, proprietario della FIAT, viene nominato senatore del Regno.


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Le 100 lire oro, taglio massimo della serie numismatica del Regno, in versione “Fascione” con millesimo 1923 (source: archive)


Anche il “re numismatico” Vittorio Emanuele III, sebbene non così entusiasta del crescente potere di Mussolini, non riesce a fare molto per evitare che i simboli del nuovo regime, pur sotto l’autorità formale della Corona, finiscano per campeggiare ben presto anche sulle monete del Regno d’Italia, quelle stesse cui il sovrano – grande collezionista e studioso di numismatica – tiene così tanto. Nel 1923, con il Regio Decreto n. 2267 (“Istituzione di monete d’oro commemorative dell’instaurazione del governo nazionale”) viene autorizzata la coniazione di monete commemorative del primo anniversario della Marcia su Roma e si stabilisce la battitura di 20.000 pezzi in oro da 100 lire e 20.000 pezzi da 20 lire. Queste ultime, in particolare, rappresentano gli ultimi, veri marenghi della storia italiana, con il loro peso di 6,45 grammi a 900 millesimi di fino e il diametro di 21 millimetri. Lo storico nominale nato ad inizio Ottocento nella Repubblica Subalpina, infatti, dopo il 1923 verrà prodotto ancora dalla Regia Zecca – ma solo per i collezionisti – nel 1926 e nel 1927, al celebre tipo dell’Aratrice. Le 100 lire, per parte loro, si presentano anch’esse nel formato classico derivato dal modello francese ottocentesco: 35 millimetri di diametro per 32,25 grammi di peso.

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L’ultima tipologia di marengo italiano è “sotto il segno del littorio”: si tratta del “Fascetto” del 1923 (source: archive)


“Fascione” da 100 lire e “Fascetto” da 20 lire vengono affidati nella modellazione dei soggetti – identici per entrambi i tipi – al virtuoso artista Attilio Silvio Motti (Alessandria, 1867 – Roma, 1935) il quale, diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Nizza, già dal 1913 è incisore capo della Regia Zecca. Un incarico che manterrà fino alla scomparsa dando vita a moltissimi modelli e materiali creatori per monete e medaglie,  affiancando all’opera artistica e istituzionale l’attività di insegnante d’incisione presso la Scuola dell’Arte della Medaglia. Accademico di San Luca e membro della Commissione Permanente Tecnico Artistico Monetaria, Motti sarà autore tra l’altro della medaglia coniata a ricordo della Conciliazione tra lo Stato Italiano e la Chiesa, nel 1929. Un capolavoro ambito, anche per la sua rarità, da molti collezionisti; una medaglia, tuttavia, ben lontana dalla scabra semplicità con cui l’incisore modella, per il dritto delle 20 e 100 lire del 1923, un ritratto a collo nudo di Vittorio Emanuele III circondato dalla legenda VITTORIO EMANVELE III RE D’ITALIA. Il rovescio, invece, viene riservato ad un marziale fascio littorio, con la scure rivolta a destra e sormontata da una testa di montone. Nel campo, a sinistra il valore e il segno di zecca, a destra la legenda OTTOBRE 1922 e il millesimo di coniazione 1923. Il bordo è rigato.

A solennizzare la coniazione delle due monete, la scelta di impiegare per la loro realizzazione una parte dell’oro donato alla Patria dai cittadini durante la I Guerra Mondiale; a rendere ancor più suggestive le due pezzature, quindi, la decisione – come si legge nella “Relazione della Regia Zecca” 1914-1939, p. 43 – di far sì che “le impronte presentassero rilievi fortemente accentuati, allo scopo di conferire alle monete un carattere piuttosto medaglistica, reso ancor più manifesto dall’impiego del medesimo trattamento usato per le medaglie: sabbiatura e successiva immersione in acido nitrico”.

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Una moneta di propaganda per tutti: il buono da 2 lire in nichelio battuto dal 1923 al 1927 (source: archive)


Monete di circolazione, dunque, ma soprattutto di ostentazione; monete alle quali, in virtù della Legge n. 141 del 17 febbraio 1921 (“Provvedimenti per la sostituzione dei buoni di cassa da lire una e due con pezzi di nichelio puro del valore nominale di lire una e due”) si aggiunge un altro “fascio numismatico”, assai più “popolare”, quello inciso dallo stesso Motti ma  modellato da Publio Morbiducci per il buono da 2 lire. Una moneta, quest’ultima, che sarebbe stata prodotta in decine di milioni di pezzi dal 1923 al 1927 e in seguito, in appena 50 esemplari l’anno per i numismatici, fino al 1935, vigilia del debutto della serie Impero. Un “fascio numismatico” destinato dunque, quello in nichelio da 2 lire, a tintinnare nelle tasche di tutti gli italiani, ribadendo nella potenza di un simbolo un evento storico che avrebbe condotto l’Italia verso la deriva della dittatura e il baratro della II Guerra Mondiale.