La moneta del primo anno di dogato di Alvise Pisani fra le ultime prodotte con un abbondante flusso di argento a Venezia.
Il ducato d’argento del centoquattordicesimo doge di Venezia Alvise Pisani non si discostava dall’iconografia standard. C’era, dentro un cerchio perlinato, l’evangelista san Marco seduto in trono nell’atto di porgere lo stendardo repubblicano con la croce al doge genuflesso. E c’era il solito leone con le zampe anteriori sulla terra, la destra appoggiata sul Vangelo aperto con la legenda incusa, quelle posteriori sulle onde del mare (nell’esergo tre rose). Nel giro le legende dichiaravano S(anctus) M(arcus) V(enetus) Aloysius Pisani D(ux) e Ducatus Venetus. All’interno dell’esergo Z e F erano le iniziali di Zorzi Foscolo, massaro dal 1734 al 1735, anni in cui sovrintese alla zecca veneziana. Pisani divenne doge nel 1735, quindi la moneta è proprio del suo primo anno di dogato.
Il ducato d’argento era entrato nella monetazione di Venezia nel 1562, sotto il doge Gerolamo Priuli, per sostituire i precedenti marcello e mocenigo. Il nuovo conio corrispondeva a 124 soldi veneti, indicati nell’esergo. A metà del Seicento, con Domenico Contarini, il ducato perse la cifra 124 acquisendo nel contempo le frazioni da mezzo e quarto.
Quando Pisani divenne doge, l’approvvigionamento di argento per la zecca di Venezia era ancora abbondante, ma già tre anni dopo le condizioni erano sfavorevolmente cambiate perché l’imperatore Carlo VI e papa Clemente XII avevano fatto concessioni speciali a Trieste e Ancona, concorrenti commerciali di Venezia. Su insistenza dei mercanti veneziani, nel 1736 Pisani riconobbe il porto franco, salvo revocarlo quattro anni dopo.
Questa moneta è una delle ultime testimonianze della plurisecolare potenza commerciale e marittima di Venezia prima dell’inarrestabile declino che avrebbe portato la capitolazione della Repubblica, nel 1797 a opera di Napoleone.