DOSSIER SPECIALE: SIR ISAAC NEWTON,
UNO SCIENZIATO ALLA ROYAL MINT 

(di Roberto Ganganelli) | Isaac Newton nacque il giorno di Natale del 1642 nel villaggio inglese di Woolsthorpe (Lincolnshire). Era un neonato piuttosto gracile, al punto che si temette seriamente per la sua sopravvivenza ma, a dispetto di ciò, visse fino ad ottantacinque anni, traguardo eccezionale per un uomo della sua epoca. In modo simile, quando il giovane s’iscrisse all’università di Cambridge nel 1661, ci fu chi avanzò riserve sulle sue possibilità di riuscita in campo accademico e dire che, anche in questa circostanza, i detrattori furono smentiti è quasi superfluo: appena conseguita la laurea, infatti, Newton elaborò lo sviluppo del binomio (a+b)n che prese il suo nome, pose le basi del calcolo differenziale, scoprì la legge di gravitazione universale e la diffrazione della luce. Scienziato eclettico, nel 1667 diede alle stampe il trattato “The Mathematical Principles of Natural Philosophy”, pietra miliare della rivoluzione scientifica, e nel 1668 costruì il primo telescopio. Dello stesso periodo è anche la stesura del trattato “Opticks”, pubblicato nel 1704.

Se i meriti scientifici di Newton sono ampiamente conosciuti vi è, tuttavia, una tra le sue molteplici attività che è meno nota e interesserà quanti si occupano di numismatica: lo scienziato inglese, infatti, ricoprì a lungo la carica di Warden e, successivamente, quella di Master presso la Royal Mint, che aveva la sua officina nella celebre Torre di Londra; in quest’ambito, apparentemente distante da quello cui era abituato come ricercatore, Newton operò per ben trentuno anni dando prova di grandi qualità umane e di notevoli capacità professionali. A sinistra, la Tower of London, sede storica della Royal Mint sulla riva del Tamigi; a destra crown in argento (1658) con l’effigie del lord protettore Oliver Cromwell (39 mm, 30 gr)

Fu il Cancelliere dello Scacchiere, Sir Charles Montagne, ad offrire all’amico scienziato, nella primavera del 1696, il posto di Warden presso la zecca britannica. La carica era prestigiosa e ben remunerata (da 500 a 700 sterline all’anno) ma tutt’altro che esente da responsabilità e preoccupazioni dal momento che, proprio in quei mesi, si stava procedendo nel regno a una massiccia operazione di demonetazione riguardante il circolante in argento.

Il sistema monetario britannico era basato, fin dal lontano 775, sulla suddivisione carolingia della libbra (pound) in 20 soldi (shilling) di 12 denari (penny) e aveva nel penny d’argento l’unità monetaria circolante, mentre il pound era rimasto a lungo solo un’unità di conto, coniata in oro solo a partire dal 1489.

Gli inglesi, nella seconda metà del 1600, spendevano penny in argento (e relativi multipli da due, tre, quattro e sei), shilling e crown (scellini e corone, con le loro metà) e, almeno i più facoltosi, sonanti monete d’oro da mezza ed una unite e da mezza, una, due e cinque guinea.

Dal 1688 sedevano sul trono d’Inghilterra Guglielmo III e la cugina Maria II i quali, chiusa definitivamente la parentesi del Commonwealth (1649-1660), si stavano adoperando per cancellare le tracce di quel turbolento periodo tra le quali, come ovvio, vi erano anche le monete coniate a nome di Oliver Cromwell. Accanto a queste circolavano in abbondanza nominali risalenti ai regni di Carlo II (1660-1685) e Giacomo II (1685-1688), senza contare i più vetusti esemplari battuti a martello sotto Giacomo I (1603-1625) e Carlo I (1625-1649).

Una simile disomogeneità del circolante, unitamente alla necessità di un’epurazione “politica” che facesse scomparire dalla circolazione le monete del Lord Protettore, convinsero le autorità inglesi a intraprendere, in parte sotto la supervisione di Newton, massicce operazioni di coniazione e riconiazione che, oltretutto, dovevano servire anche ad arginare due preoccupanti fenomeni che rischiavano, in quegli anni, di frenare il commercio interno.

Un primo problema, assai avvertito dalla popolazione sia in città che nelle campagne, era quello della penuria di moneta spicciola: la produzione della zecca centrale, per questo segmento del circolante, era infatti sporadica e insufficiente, e neanche le monetine fatte coniare da alcune nobili famiglie su concessione regia erano in grado di soddisfare le richieste degli strati più bassi e numerosi della popolazione.

Commercianti e artigiani, per far fronte al fenomeno, misero allora in atto una soluzione d’emergenza organizzando l’emissione di gettoni privati. Realizzati in piombo, stagno o rame (talvolta anche in cuoio), i trade tokens avevano un potere liberatorio limitato (potevano essere accettati in pagamento soltanto fino alla cifra di sei pence) e si diffusero così rapidamente che, negli anni Sessanta del secolo, furono oltre tremilacinquecento le botteghe londinesi che ne coniarono con nominali di un farthing e un halfpenny, mentre quelli da un penny furono emessi solo da alcune delle più prestigiose coffeehouse.

A sinistra, ritratto di sir Isaac Newton (1642-1727); a destra,  gettone in rame del valore di un farthing (1663) emesso da Thomas Solley, droghiere a Mendelsham, nel Suffolk (23 mm, 5 gr)

La popolazione dovette attendere il 1672 affinché la Royal Mint iniziasse a coniare in abbondanza spiccioli ufficiali e ponesse progressivamente fine alla proliferazione dei trade tokens privati (tra i quali ve ne erano alcuni con l’effigie dello stesso Isaac Newton). Le nuove monete in rame con nominali di un farthing e un halfpenny furono comunque, al pari dei tokens, delle emissioni fiduciarie dato che il loro contenuto di rame valeva circa la metà del facciale. Gli eccessivi costi di produzione, inoltre, portarono ben presto ad una modifica del loro taglio (che passò da quaranta a quarantaquattro halfpenny per libbra di rame) e, dal 1684 al 1694, anche alla coniazione di curiosi farthing bimetallici formati da un tondello di stagno contenente un inserto di rame come misura antifalsari.

Oltre alla carenza di spiccioli, nella seconda metà del XVII secolo si verificò nel Regno Unito un altro fenomeno, ben più grave e destabilizzante, quello dei coin clippers che incrementarono in modo esponenziale la loro attività consistente nel tosare, anche in modo vistoso, le monete in argento rimettendole poi in circolazione. La diffusione di questa pratica causò una progressiva perdita di fiducia da parte del pubblico e dei mercati nei conforti della valuta britannica il cui valore, come ovvio, era strettamente legato all’intrinseco di metallo prezioso.

Nel gennaio 1696, quando finalmente fu approvata la legge per la demonetazione delle monete tosate, si era arrivati ad avere in circolazione esemplari calanti anche del 40-50% rispetto al valore iniziale; come se non bastasse, molti commercianti non accettavano, senza preventiva pesatura, neanche gli esemplari non visibilmente tosati e questo dato è sufficiente, più di ogni altra considerazione, a rendere l’idea della gravità della situazione.

In questo difficile contesto storico-economico si inserisce la figura di Isaac Newton, chiamato a sovrintendere al processo di riorganizzazione del circolante con l’obiettivo primario di garantire alle nuove monete caratteristiche tecniche che le rendessero il più possibile uniformi e a prova di frode.

I primi anni di Newton alla zecca furono completamente assorbiti dalle operazioni di riconiazione dell’argento per le quali vennero aperte zecche ausiliarie in varie località del paese (Bristol, Chester, Exeter, Norwich, York e, più tardi, Edimburgo) dotate, come quella situata nella Tower of London, di presse idrauliche, torchi a vite e godronatrici che avevano progressivamente sostituito, a partire dal 1660 circa, la tradizionale coniazione a martello che, fra l’altro, favoriva i fenomeni di tosatura e limatura.

Zecche britanniche periferiche attive nel XVII-XVIII secolo, segni di zecca e periodi di attività 

Zecca Segno di Zecca

Periodo di attività

Bristol B Settembre 1696 – Settembre 1698
Chester C Ottobre 1696 – Giugno 1698
Exeter E Agosto 1696 – Luglio 1698
Norwich N Settembre 1696 – Aprile 1698
York Y Settembre 1696 – Aprile 1698
Edinburgh E 1707 – 1709

Terminato con successo il cambio della moneta argentea, il giorno di Natale del 1699, Newton assunse il ruolo di Master della zecca londinese che era rimasto vacante e garantiva allo scienziato, oltre ad una rendita annua da 1200 a 1500 sterline, anche una percentuale sulle monete coniate (mediamente, circa 1000 sterline all’anno); da quel momento, passando indenne tra le burrasche politiche che caratterizzarono la fine del XVII e il primo ventennio del XVIII secolo, Newton mantenne il proprio ruolo di primo piano in zecca fino alla morte, avvenuta nel 1727.

Tra i progetti più importanti in cui lo vediamo coinvolto vi sono la realizzazione di monete e medaglie per l’ascesa al trono della regina Anna nel 1702, l’allineamento tecnico e metrologico del circolante scozzese a quello inglese (con relativo riassetto organizzativo della zecca scozzese di Edimburgo) e, infine, la trasformazione in moneta del metallo prezioso catturato ai franco-spagnoli nella battaglia navale di Vigo del 1702. In seguito alla morte di Anna Stuart, salito sul trono Giorgio I di Hannover, Newton coordinò la preparazione delle monete e delle medaglie per l’incoronazione del nuovo sovrano gestendo infine, a partire dal 1717, anche le nuove emissioni di moneta in rame.

Il ruolo del grande scienziato presso la zecca britannica, col passare del tempo, si fece sempre più centrale: il Master, infatti, si occupava in prima persona dell’approvvigionamento delle paste metalliche, prendeva parte agli esperimenti sulla purezza del rame, grazie alla propria competenza tecnico-scientifica eseguiva di persona saggi sull’oro e sull’argento e non disdegnava di occuparsi, talvolta, anche degli interrogatori a falsari ed informatori.

A sinistra, medaglia in argento per l’incoronazione della regina Anna nel 1702 (35 mm, 16 gr); a destra medaglia in argento per l’unificazione di Inghilterra e Scozia nel 1707 (47 mm, 40,7 gr)

Segni evidenti di questa sua intensa attività sono centinaia di lettere autografe e di rapporti manoscritti che testimoniano di come, col passare del tempo, Newton si sia fatto assorbire del tutto dal proprio ruolo istituzionale tralasciando, per contro, quella speculazione scientifica che lo avrebbe reso immortale.

Secondo alcuni, lo scienziato avrebbe abbandonato la ricerca consapevolmente e senza rimpianti, poiché la parte più genuina della sua creatività si era ormai esaurita; secondo altri, invece, la ragione del suo allontanamento dalle scienze sperimentali è da ricercare nel desiderio di dedicarsi agli studi storici e biblici che, fino ad allora, aveva trascurato.

In ogni modo, quanto detto finora a proposito della febbrile attività del Mint Master Isaac Newton dovrebbe aver reso evidente come il suo ruolo nella storia della zecca britannica sia stato davvero significativo, anche se non certo rivoluzionario come lo fu per la fisica o per la matematica.

Newton ebbe grandi meriti nella rapidità con cui venne attuata la rimonetazione di fine XVII secolo, come in occasione dell’unificazione monetaria tra Inghilterra e Scozia ma il valore della sua attività va ricercato, soprattutto, nell’instancabile impegno profuso per rendere le monete del Regno Unito quanto più regolari e moderne possibile, nelle misure antifalsari che seppe promuovere ed attuare e nell’integrità morale con cui, nel corso un trentennio, svolse il proprio delicato compito arrivando a rifiutare ben seimila sterline – una vera fortuna per l’epoca – che gli erano state offerte per pilotare l’assegnazione di alcuni contratti di coniazione. 

In alto a sinistra, halfpenny in rame (1719) a nome di Giorgio I, una delle monete coniate dalla Royal Mint sotto la direzione di Isaac Newton (26 mm, 9,8 gr); in basso a sinistra, quarter guinea in oro (1718) a nome di Giorgio I (1714-1727): coniata in appena 37.380 esemplari questo nominale fu, a causa delle piccolissime dimensioni, uno dei più rari ed impopolari del XVIII secolo (16 mm, 2,1 gr); a destra,  macchinari impiegati presso la Royal Mint nel XVIII e XIX secolo da una stampa inglese dell’epoca

Nella sua continua ricerca della qualità, Newton ideò una procedura di verifica veloce dei tondelli di rame, detta hammer test, che consisteva nel renderli incandescenti per poi martellarli violentemente: se si rompevano, o presentavano fessurazioni, quello era il segno inequivocabile della presenza di impurità.

 

In seguito, consapevole della bontà dei risultati raggiunti dalla “sua” zecca il Master arrivò – correva l’anno 1710 – a contestare anche il giudizio della celebre Trial of the Pyx che aveva ritenuto calanti nel fino alcune monete appena coniate: ebbene, ripetendo la prova ci si accorse che, a sbagliare la determinazione del titolo, non era stato il personale della zecca bensì gli “affidabilissimi” assaggiatori esterni.

Non si può tacere d’altra parte come, nonostante Newton e l’introduzione di macchinari moderni, le tradizioni e l’organizzazione del personale alla zecca di Londra rimasero pressoché invariate rispetto ai secoli precedenti ma ciò è da imputare al fatto che, per far approvare riforme radicali in questi settori, lo scienziato avrebbe dovuto concordarle con gli altri funzionari dell’officina monetaria, dal Warden all’Assay Master con i quali, per sua stessa ammissione, non era in buoni rapporti.

Spigoloso nel carattere, rigoroso fino alla pignoleria, spesso incapace di gestire un dibattito, Newton non riuscì dunque ad estirpare del tutto le tradizioni corporative medievali interne alla Royal Mint mentre, in ambito tecnologico, fu capace di indirizzare il processo evolutivo della zecca britannica verso la nuova era della meccanizzazione: aperto alle innovazioni e convinto assertore dell’utilità dei moderni macchinari da conio, Newton ottenne che l’officina monetaria d’Inghilterra sperimentasse, tra le prime in Europa, gli effetti pratici della rivoluzione scientifica e di quella che, di lì a pochi decenni, si sarebbe delineata in tutti i settori produttivi come l’alba della moderna civiltà industriale.

La banconota da 1 Pound con l’effigie di Newton emessa dalla Bank of England (1982-1984) in omaggio a Isaac Newton (dimensioni originali: mm 134 x 67) 

A conclusione di questo approfondimento, qualche parola sulla battaglia e i tesori della baia di Vigo. Il 24 luglio del 1702 salpava, dal porto cubano de L’Avana, uno dei numerosi convogli navali franco-spagnoli destinati a trasportare in Europa il metallo estratto nel Nuovo Mondo. Le navi erano dirette a Cadice ma, dopo quasi due mesi di navigazione, venuti a conoscenza dell’assedio navale anglo-olandese in corso i comandanti decisero di cambiare rotta e di puntare invece sulla baia di Vigo, in modo da mettere al sicuro navi e carico.

Il 23 settembre, finalmente, la flotta dell’argento entrava nel piccolo porto di Redondela iniziando immediatamente il trasbordo a terra dell’argento e i preparativi per fronteggiare un assedio che, di giorno in giorno, si faceva sempre più probabile.

La squadra da battaglia anglo-olandese, comandata da Sir George Rooke, attaccò infatti la flotta e i forti della baia il 22 ottobre e, fin dalle prime fasi della battaglia, si rivelò chiaro come la flotta dell’argento non avrebbe avuto scampo. Dopo un disperato tentativo di resistenza, perciò, i comandanti francesi e spagnoli decisero di bruciare e affondare i loro vascelli pur di non farli cadere, con il loro preziosissimo carico, in mano nemica.

A sinistra,  Vigo shilling battuto nella zecca di Londra (1703) con l’argento catturato agli spagnoli  (25 mm, 5,8 gr); a destra,  la battaglia navale di Vigo (1702) in una stampa olandese del XVIII secolo

Pochissime unità spagnole sopravvissero alla battaglia e vennero catturate: tra queste vi era la Tauro che, da sola, fruttò agli inglesi un valore in argento di ben duecentomila sterline dell’epoca. In totale, i vincitori riuscirono ad accaparrarsi 4.504 libbre di metallo prezioso, per un valore superiore al milione di sterline, nonostante una parte del tesoro fosse già stata sbarcata ed un’altra fosse finita in fondo al mare.

Del bottino di guerra catturato a Vigo e trasportato in Inghilterra venne fatto immediato uso: già dall’anno successivo, infatti, la Royal Mint diretta da Sir Isaac Newton provvide a raffinare l’oro e l’argento per farne paste da monetazione. Le cosiddette Vigo coins (riconoscibili per la legenda VIGO sotto il ritratto della regina Anna) prodotte con il metallo catturato ai franco-spagnoli finirono, così, per diventare anche un prezioso mezzo di propaganda politica, sia all’estero che sul fronte interno, per la nazione che avrebbe dominato i mari nei due secoli successivi.

E’ da notare come, nella monetazione britannica dell’epoca, l’uso di segni e iscrizioni ad indicare la provenienza dell’oro o dell’argento è tutt’altro che infrequente: ad esempio, le rose identificavano il metallo proveniente da miniere dell’Inghilterra occidentale, le piume quello gallese, l’elefante – talvolta abbinato con un castello – l’oro o l’argento di provenienza africana e così via. Allo stesso modo, le grandi compagnie commerciali possedevano proprie sigle distintive: S.S.C. identificava ad esempio la South Sea Company mentre E.I.C. indicava la East India Company, la potentissima Compagnia delle Indie Orientali.