“DAMNATIO AD BESTIAS”, OVVERO: IL DESTINO DEI FALSARI NELL’ANTICA ROMA

documents-button(di Roberto Ganganelli) | Curiosando nei cataloghi d’asta internazionali ci siamo imbattuti in un oggetto che, sebbene non sia nè una moneta nè una medaglia, è di un certo interesse per la storia della numismatica romana imperiale. Nel catalogo n. 231 della ditta Gorny & Mosch di Monaco di Baviera, infatti, nella sezione dedicata all’arte antica e ai reperti archeologici vienepresentato un oggetto che è uno splendido esempio di storia del diritto romano. Si tratta di una ciotola in terracotta sigillata risalente al II-III secolo d.C. raffigurante una scena di “damnatio ad bestias”, ossia il tipo di esecuzione capitale che veniva applicato anche ai falsari di monete. Un uomo nudo è lì, con la testa abbassata, le gambe leggermente piegate, le mani legate dietro la schiena. Un leone sta saltando su di lui, in procinto di farlo a pezzi. L’artista ha incorporato questa rappresentazione, illustrata nei minimi dettagli, in una scena circense in cui combattono gladiatori e animali selvatici.

001 002La ciotola di terracotta messa in vendita da gorny & Mosch e il dettaglio della “damnatio ad bestias” (source: Gorny & Mosch)


Questa rappresentazione – toccante quanto cruenta – si riferisce, come detto, ad un tipo di esecuzione capitale detta “damnatio ad bestias”, ossia “condanna alle belve” (per essere fatti a pezzi). Una pena applicata, nel mondo romano, a coloro che avevano commesso i reati più gravi nei confronti della società o dell’autorità imperiale: disertori, avvelenatori, stregoni, rapitori di bambini, sobillatori di rivolte e – non da ultimi – i falsari di monete, almeno in alcuni casi. Questa punizione è stabilita nel “Peculatus Lex Iulia“, una legge risalente ai tempi di Cesare o di Augusto e che riguarda i reati relativi all’appropriazione indebita di proprietà pubblica. La falsificazione di monete è classificata come tale: “Se loro [i falsari] sono uomini liberi, saranno dati alle bestie, se schiavi, dovranno pagare la pena finale”. In entrambi i casi, dunque, la pena di morte.

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Due denari repubblicani, rispettivamente del 112 e del 42 a.C., che mostrano come i giochi gladiatori fossero già uno dei passatempi preferiti dai Romani (source: archive)


Lo sbranamento da parte delle belve era la condanna prevista per il reato di contraffazione di monete già dalla prima fase di sviluppo del diritto romano. Se seguiamo i testi giuridici, ad esempio la “Lex Cornelia testamentaria nummaria” promulgata intorno all‘81 a.C., leggiamo quanto segue: “Coloro che falsificano denaro d’oro o d’argento, adulterano, lavano, fondono, tagliano, corrompono o introducono un‘alterazione in monete d’oro d’argento, o rifiutano le monete marcate con il volto dell’imperatore, a meno che non esse non siano false: se si tratta di aristocratici, devono essere esiliati in un‘isola, altrimenti devono essere condannati alle miniere o alla croce. Gli schiavi saranno puniti con la pena capitale dopo la sentenza […]. Chiunque sia scoperto ad aver dorato o argentato metallo vile, e tutti coloro che mescolano oro con l’argento, o che siano scoperti a placcare le monete, pagheranno la pena per contraffazione”.

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Su questo aureo di Severo Alessandro del 223 d.C. campeggia il Colosseo, palcoscenico di cruenti spettacoli circensi (source: archive)


Non è documentabile, ovviamente, che l‘uomo nella raffigurazione della ciotola sia stato trovato colpevole proprio di contraffazione di monete. Potrebbe anche trattarsi di un cristiano, uno dei tanti che venivano giustiziati nei giochi circensi: un’abitudine invalsa soprattutto spesso dopo il regno di Marco Aurelio che aveva limitato la somma spendibile per i gladiatori nei giochi pubblici a duemila sesterzi (nel 177 d.C.): una cifra irrisoria per organizzare giochi “decenti” e tale da far ricorrere ad altri espedienti per alimentare lo “spettacolo”. La ciotola messa all’asta da Gorny & Mosch ad un prezzo base di tremila euro sarebbe legata proprio alle persecuzioni nei confronti dei cristiani, nella fattispecie quelle messe in atto nella zona di Lugdunum, l’odierna Lione. La sede di produzione del manufatto, non a caso, è stata individuata nell’antico insediamento romano di Condatomagnus, corrispondente all’attuale paese di La Graufenesque, nei pressi di Millau, nel sud della Francia. Centro di produzione di vasellame molto importante, Condatomagnus disponeva di numerosi laboratori di produzione edesportava terrecotte sigillate in tutto l’Impero. La ciotola in oggetto, ad esempio, proviene dalla fabbrica di tale Lupus, come attestano i sigilli.