UNA MEDAGLIA PER UN INTELLETTUALE SCOMODO:
GIOVANNI CARLO LEONARDO SIMONDO DE’ SISMONDI

(di Leonardo Mezzaroba) | Tre furono le città in cui ebbe a operare Antonio Fabris, “sommo incisore italiano del secolo XIX”: la nativa Udine, dove realizzò la sua prima medaglia nel 1823 (in memoria di Antonio Canova); poi, dal 1829, Firenze, dove lavorò autonomamente, ma anche per la zecca granducale; e infine, dal 1847, Venezia, dove ottenne, dal governo asburgico, la qualifica di incisore capo presso la locale zecca nonostante l’appoggio offerto al governo rivoluzionario nel 1848-49. L’esperienza fiorentina fu senza dubbio intensa e vide il Fabris realizzare almeno una ventina di medaglie, spesso di notevole pregio; basti, tra tutte, quella coniata nel 1832, raffigurante il cenotafio di Dante nella chiesa di Santa Croce e il busto del grande poeta, considerato unanimemente uno dei vertici assoluti della ritrattistica ottocentesca in medaglia.

1832, A. Fabris, Cenotafio di Dante Alighieri in Santa Croce a Firenze (Coll. privata; Ag g 85, mm 55,2)

Le medaglie del “periodo fiorentino” di Fabris sono state variamente analizzate nel 1985 da Fausto Saracino (“L’opera medaglistica dell’incisore cav. Antonio Fabris (Udine 1790- Venezia 1865)”, “Medaglia”, a. XIII, n. 20, pp. 67-84) e, in tempi molto più recenti, da Arnaldo Turricchia (“Il Granducato di Toscana attraverso le medaglie. Dalla restaurazione all’Unità d’Italia”, Roma 2012, 2 volumi). In particolare il lavoro di Turricchia è stato condotto alla luce di meticolose ricerche di archivio che hanno fruttato risultati a volte davvero straordinari: è il caso della medaglia destinata alla memoria di Vittorio Fossombroni alla quale sono state riservate dallo studioso quattro pagine densissime di documenti (vol. I, n. 149; pp. 238-241).

Solo in pochi casi le indicazioni scarseggiano, quando cioè i fondi archivistici relativi alla zecca di Firenze non conservano traccia di alcune medaglie, che, spiega Turricchia, sarebbero state coniate presso la zecca di Milano per problemi tecnici e, talvolta, per esigenze di maggiore affidabilità. Una di queste è la medaglia dedicata al letterato, storico ed economista Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi (1773-1842), ginevrino ma trasferitosi, fin dal 1794, in Toscana.

Del resto la sua famiglia era originaria di Pisa e con ogni probabilità discendeva dai Sismondi che erano stati tra i più accaniti avversari di Ugolino della Gherardesca, come attestano i celebri versi danteschi (31-33) del XXXIII canto dell’“Inferno”; poi però, come spiega Alfred Reumont nel suo “Sismondo de’ Sismondi” (Livorno 1842), essa si era trasferita a Ginevra, all’inizio del XVI secolo, per motivi religiosi. Dunque, una volta tornato in Toscana, il nome del nostro personaggio era stato subito “riportato” alla sua forma italiana, e suonava come Giovanni Carlo Leonardo Simondo (o Sismondo) de’ Sismondi. Stabilitosi a Pescia, il Sismondi non incontrò sempre un’accoglienza amichevole anche perché sospettato di essere giacobino. Nonostante questo, a partire dal 1800 si volse allo studio degli aspetti politici ed economici della sua regione e dell’Italia tutta e tra il 1807 e il 1808 pubblicò la prima parte di una delle sue opere più significative: l’“Histoire des républiques italiennes du Moyen-âge”.

A sinistra, Giovanni Carlo Leonardo Simondo de’ Sismondi; a destra, frontespizio del IV volume della “Storia delle Repubbliche italiane dei Secoli di Mezzo”

Si trattava di un’opera importante e innovativa, che ottenne l’apprezzamento di moltissimi studiosi; tuttavia le pesanti responsabilità, che l’autore attribuiva alla istituzione ecclesiastica (e non certo al messaggio evangelico) nella decadenza degli stati italiani, finirono per inimicargli gli intellettuali cattolici. Lo stesso Alessandro Manzoni, tra il 1816 e il 1817, fu profondamente colpito dalle affermazioni del Sismondi, tanto che, in grave crisi, sospese la stesura del “Conte di Carmagnola” per risolvere i propri dubbi. Il risultato furono le “Osservazioni sulla morale cattolica”, pubblicate nel 1819; opera polemica nei confronti del Sismondi e apologetica rispetto alla morale cattolica e al messaggio evangelico. Di lì a poco Manzoni avrebbe ripreso e ultimato il “Conte di Carmagnola” e messo mano all’Adelchi.

Circa 1850, V. Nesti (attr.), Alessandro Manzoni e i suoi scritti (Coll. privata; AE mm 62)

Nel frattempo il Sismondi era rientrato a Ginevra dove iniziò la seconda parte dell’“Histoire des républiques italiennes du Moyen-âge” e compose una monumentale “Histoire des français”. Sul piano letterario, va ricordato che egli fu tra i fondatori della critica romantica (fondamentale la sua amicizia con Madame de Staël) e, in ambito economico, fu autore di opere importanti nelle quali sosteneva le sue idee liberiste. Tornò varie volte in Italia, dove, stando ad Alfred Reumont, “i segni d’amicizia e di reverenza, che gli erano fatti colà, soleva pregiare più altamente di quelli, che in egual misura gli erano fatti altrove” (p. 8).

1844, A. Fabris, Tributo alla memoria del Sismondi (Coll. privata; AE mm 53,5)

Non stupisce dunque che alla sua morte (25 giugno 1842) a Firenze si fosse costituito un comitato per onorare il Sismondi dedicandogli una medaglia. I particolari relativi ai motivi, all’autore, al costo della medaglia vengono forniti in appendice al volume del Reumont: “Una Società di Amici e di Ammiratori del Sismondi si è formata in Toscana per coniare una medaglia ad onore della sua memoria, e come pegno di affetto riconoscente verso lo Storico illustre, che sì bene meritò dell’Italia. Il lavoro è affidato all’egregio Artista Antonio Fabris. Il prezzo prestabilito per ciascuna medaglia è di Paoli dieci. Le sottoscrizioni si ricevono in Firenze al Gabinetto Scientifico Letterario di G. P. Vieusseux; in Livorno al Gabinetto Scientifico Letterario”.

1859, G. Ferraris, Ottantesimo compleanno di Giovan Pietro Vieusseux (Coll. privata; AE mm 49,8)

Stupisce l’intervallo di tempo intercorso tra l’annuncio dell’iniziativa e la realizzazione della medaglia (1844); va però ricordato che tra il 1842 e il 1844 il Fabris dovette far fronte a un numero davvero considerevole di richieste di medaglie (cfr. Turricchia, “Il Granducato di Toscana…”, cit., nn. 93, 101, 108, 110, 148, 149, 150, 153). Dunque una parte rilevante dell’iniziativa venne sostenuta da Giovan Pietro Vieusseux (1779-1863), anch’egli originario di Ginevra e anch’egli stabilitosi in Toscana (a Firenze) dove nel 1820 aveva fondato la celebre istituzione culturale, tutt’ora attiva e che porta il suo nome. Nel 1841 il Vieusseux aveva dato inizio alla pubblicazione dell’“Archivio storico italiano”, rivista ancora oggi edita e da sempre attenta proprio alle fonti storiche italiane.