DOSSIER SPECIALE: TRE INEDITE E MISTERIOSE
LAMINE INCUSE DA L. 1,60 DEL BLOCCO DI VENEZIA 

(di Marco Rinaldi) | In seguito al Trattato di Presburgo firmato tra Francia e Austria il 28 dicembre 1805, dopo la battaglia di Austerlitz, la città di Venezia passa sotto il dominio napoleonico ed entra a far parte del Regno d’Italia. La città lagunare, che dopo il Trattato di Campoformido aveva vissuto quasi otto anni sotto il dominio asburgico, passa così sotto la dominazione francese, vivendo un difficile periodo segnato da imposte e tasse sempre più elevate a causa delle continue spese per le campagne militari volute dal “Grande Corso”.

Scudo da 5 lire e moneta da 10 soldi (mezza lira) coniate dalla zecca di Venezia negli anni del dominio napoleonico (source: archive)

A Venezia, durante questi anni, vengono battute monete in argento e rame con il ritratto di Napoleone I, dal 1807 fino al 1813; il 12 agosto di quello stesso anno l’Austria dichiara l’ennesima guerra alla Francia, e passando da terra con gli eserciti del maresciallo Nugent e del feldmaresciallo Bellegarde, supportati dalla flotta inglese posizionata nel Mare Adriatico, isolano la città lagunare. Il 3 ottobre 1813 nella stessa città, che secondo lo storico Alvise Zorzi all’epoca conta poco meno di 160.000 abitanti, viene proclamato lo stato d’assedioL’ 8 dicembre dello stesso anno il blocco viene definitivamente chiuso è si protrae fino a 18 aprile del 1814, quando la città si arrende agli Austriaci e Napoleone a Parigi, salutando la Vecchia Guardia, parte in esilio per l’Isola d’ Elba (20 aprile 1814).

Medaglia e stampa celebrative dell’annessione di Venezia al Regno napoleonico d’Italia (source: archive)

Durante il blocco era intenzione dell’autorità politica francese in Venezia battere moneta “ossidionale” per la circolazione, come si evince dall’interessante pubblicazione dal titolo “Giornale di quanto è accaduto in Venezia durante l’assedio 1813-1814” di Pompeo Mangiarotti. Si legge infatti, al giorno 20 gennaio 1814, che “La Commissione temporaria di finanza, attesa la scarsezza di numerario, ha creduto bene di determinare che venisse coniata e posta in corso una moneta di blocco, per l’ ammontare di un solo milione”; e poi ancora “Questa misura reclamata dalle circostanze e dalla prudenza, fu approvata anche dal signor Comandante Superiore e ne furono ordinati alla zecca i punzoni. Cinque devono essere le monete; da una parte avranno l’indicazione del loro valore e dall’ altra l’ iscrizione: BLOCCO DI VENEZIA: da L. 1,60; da Cent. 80; 40; 20 e 10”.

Nella stessa cronaca però, il giorno 22 gennaio, si legge che il Comando Superiore, per prevenire il timore della popolazione, nega questa “voce”, confermando che non verrà emessa né moneta di blocco né carta monetata. Resta comunque il fatto che tutti i conii, eccetto quello del 10 centesimi, furono effettivamente predisposti come dimostra il fatto che ancora oggi essi siano conservati presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna e repertoriati nel volume di Fiala sui conii del museo austriaco.

Un rarissimo esemplare in stagno da 1,60 lire del blocco del 1813, ex collezione Mantegazza (source: Aste Bolaffi)

Questo articolo nasce da tre lamine in rame, di cui una lievemente argentata, rinvenute in una vecchia collezione numismatica e che qui di seguito descrivo e illustro.

(1) D/ Al centro, Corona ferrea radiata; attorno REGNO D’ ITALIA; sotto valore L. 1,60 e ancora. Contorno zigrinato; R/ In incuso; peso 2,14 grammi, diametro 29,50 millimetri, AE argentato.

(2) D/ Al centro, Corona ferrea radiata; attorno REGNO D’ ITALIA; sotto valore L. 1,60 e ancora. Contorno zigrinato; R/ In incuso; peso 1,52 grammi, diametro 29,50 millimetri, AE.

(3) D/ BLOCCO DI VENEZIA 1813 in quattro righe; sopra stella. Contorno zigrinato; R/ In incuso; Peso 1,85 grammi diametro 29,50 millimetri, AE.

Non vi è alcuna segnalazione di queste emissioni nel testo di Mario Traina sulla monetazione ossidionale, mentre nel testo di Antonio Pagani riguardante prove e progetti, come nel libro di Oscar Rinaldi sulle monete coniate in Italia dalla Rivoluzione Francese ai giorni nostri, sono velocemente e quasi sommariamente descritte. Mentre sul Rinaldi, richiamando il testo di Victor Guilleteau sulla monetazione francese, si parla sia di monete che di lamine per tutti e quattro i valori, sul Pagani si citano come moneta quella da L. 1,60 e come lamine la stessa da 1,60 lire e le rimanenti tre (80, 40 e 20 centesimi). In realtà, nel Pagani, si parla di un esemplare tipo “moneta” da 1,60 lire conservato nell’attuale Gabinetto Numismatico del Castello Sforzesco ed uno, invece, nella collezione Papadopoli al Museo Correr di Venezia (entrambi tuttora conservati in tali sedi).

Lamina incusa in bronzo parzialmente argentato del dritto della moneta da 1,60 lire (source: author)

Il primo esemplare, probabilmente è a basso titolo di argento, almeno dalle immagini e dalle considerazioni del dottor Rodolfo Martini, mentre in piombo è invece il secondo (secondo il volume del Castellani sulla collezione Papadopoli). A questi due esemplari ne va poi aggiunto un terzo, in stagno, proposto nel 1995 dalla ditta Negrini di Milano nella vendita della collezione Bruno Mantegazza. In realtà un quarto esemplare doveva essere presente nella collezione Palagi di Bologna (notizia tratta dal Castellani), ma di questo esemplare non si ha altra menzione, né su dati tecnici né sul luogo attuale di conservazione.

Conclusa la disamina su quelle che possono essere considerate le monete o prove di monete del blocco del 1813, passiamo ora ad esaminare i cosiddetti “dischetti”, o lamine, che riportano per ogni lato una faccia della moneta. Nella Collezione reale sono presenti tutti e quattro i nominali che figurano battuti in stagno e sono in conservazione modesta forse a causa del materiale utilizzato. Tutti gli esemplari presentano il rovescio liscio ed è curioso sapere che i tondelli giunsero nella raccolto di Vittorio Emanuele III attraverso un non meglio identificato “signor Fiala di Vienna” nel 1903.

Coppia di lamine incuse del D/e del R/della moneta da 1,60 lire provenienti dai conii di Vienna e dai relativi punzoni, ora dispersi (source: author)

Un’altra coppia di lamine del solo pezzo da 1,60 lire è conservato ancora al Museo Correr di Venezia, proveniente dalla collezione Papadopoli e, in questa, descritta in piombo. Le lamine al Castello Sforzesco di Milano, invece, dovrebbero essere di una lega di piombo e stagno e anche queste, vista la qualità del materiale utilizzato, son in modesto stato di conservazione. Al Kunsthistorisches Museum di Vienna è infine presente una coppia di lamine dell’esemplare da 1,60 lire della quale, tuttavia, non si conosce il materiale. Anche questo esemplare, come tutti i precedenti, presenta il rovescio liscio. Questi gli unici esemplari che reperiti in collezioni pubbliche; mancano ovviamente, posto che esistano, quelli attualmente conservati in quelle private.

Quello che balza immediatamente all’occhio è che tutte le lamine analizzate, tranne quelle veneziane della Papadopoli – non ben descritte ma, molto probabilmente, simili a quelle del re – hanno il rovescio liscio; al contrario di qui descritte che hanno invece il rovescio in incuso. Inoltre si può affermare, quasi senza dubbio, che tutti gli esemplari qui descritti e menzionati, siano “monete” o lamine, provengono dalla coppia di conii in deposito a Vienna; l’ epigrafia, i simboli incisi, la zigrinatura sul bordo e soprattutto il diametro uguale o molto similare, stanno ad indicare che il conio viennese sia stato utilizzato per questo scopo.

I conii delle 1,60 lire del blocco di Venezia conservati al Kunsthistorisches Museum di Vienna (source: author)

Per quelle oggetto di questo studio, sorge spontanea una domanda: se il rovescio infatti è in incuso e sicuramente battuto con grande precisione di dettagli, paragonabile a quella dei migliori esemplari segnalati, come può essere accaduto ciò? Probabilmente a Venezia, oltre ai conii, nel 1813 furono approntati anche i punzoni degli esemplari, almeno per quello da 1,60 lire. Il punzone, ovvero il “positivo” del conio che viene preparato precedentemente al conio stesso, è l’unico strumento che avrebbe consentito di poter battere in questo particolare modo le lamine inedite e qui presentate. La nitidezza dei più piccoli particolari, la perfetta definizione delle caratteristiche e l’ ottima tecnica di “battitura” fanno supporre l’esistenza anche di una coppia di punzoni.

Dove sono però finiti questi punzoni? Al momento, purtroppo, di essi non vi è traccia; come ricordato più volte a Vienna sono conservati solo i conii. Queste lamine trovate in una vecchia collezione escono comunque dal lavoro eseguito sui conii ufficiali e probabilmente dai punzoni predisposti per la realizzazione finale della matrice negativa. Conii predisposti per sopperire alla scarsità di numerario a Venezia durante il blocco del 1813-1814, ma di fatto mai utilizzati per la circolazione e quindi rimasti al puro stato di prova.

Ringraziamenti

L’autore ringraziare per la gentile disponibilità e la cortese collaborazione Gabriella Angeli Bufalini, Cristina Crisafulli, Anna Fabiankowitsch, Rodolfo Martini, Michele Asolati e Giovanni Gorini.