QUEL DENARO “SCISMATICO” DELLA REGINA
GIOVANNA I D’ANGIÒ PER LA ZECCA DI NAPOLI 

(di Raffaele Iula) | Un nuovo tassello è venuto ad aggiungersi, nel recente passato numismatico, al già rilevante numerario prodotto a Napoli durante la dominazione angioina. Un’emissione che ancora oggi, dopo quasi otto anni dalla sua comparsa sul mercato, attende un adeguato studio che comprenda non solo la presentazione della stessa, ma soprattutto un più puntuale inquadramento storico ed una corretta collocazione cronologica all’interno della serie partenopea del periodo. Occorrerà, innanzitutto, illustrare l’argomento del nostro intervento. Trattasi di un denaro in mistura coniato a Napoli durante il regno della regina Giovanna I d’Angiò (1343-1382), con un peso di appena 0,47 grammi. Al dritto, la legenda + IERL ET SICILIE REGIN, in caratteri gotici, corre tutt’intorno ad una croce patente, accantonata negli spazi da quattro gigli, e racchiusa in un circolo perlinato. Mentre, al rovescio, la stessa iconografia della croce patente con i quattro gigli è circondata da una legenda, sempre in caratteri gotici, diversa e dall’interpretazione ben più complessa, nonostante l’apparente semplicità epigrafica: + IESUS NAZARENU.

La regina Giovanna I d’Angiò in una miniatura (source: web)


Finora la moneta risulta censita solo nel volume di A. D’Andrea e C. Andreani, “Le monete napoletane dai Bizantini a Carlo V”, Castellalto (TE) 2009, a p. 120, n. 5. In quello stesso anno, infatti, in data 7 novembre 2009, tale esemplare apparve nella vendita 53 della Numismatica Ars Classica AG al lotto n. 113. In conservazione BB, in quell’occasione realizzò ben 1900 euro, diritti d’asta esclusi. Nonostante manchi del tutto il nome della regina, e su tale questione converrà poi ritornare, la legenda di dritto ci permette con una certa facilità di attribuirle questo esemplare. Tale legenda, infatti, si trova sia sul rovescio di alcuni denari del tipo più comune descritto in M. Pannuti e V. Riccio, “Le monete di Napoli dalla caduta dell’Impero Romano alla chiusura della zecca”, Lugano 1984, p. 24, n. 3, sia sul denaro cosiddetto “vedovile” (perché coniato dopo la morte del suo primo consorte, Andrea d’Ungheria, il 18 settembre 1345) che troviamo classificato nel citato catalogo di Pannuti e Riccio al n° 4. L’attribuzione a Giovanna I è quindi sicura, sia per via della suddetta legenda che per lo stile e l’iconografia del denaro.

Le ragioni che spinsero le autorità napoletane a curare l’emissione di una così singolare moneta devono essere sicuramente pressanti e di grande portata storica. Prima di tutto, occorre notare che la legenda di rovescio, IUESUS NAZARENU[s], non compare su nessun’altra moneta angioina, né contemporanea all’esemplare in questione, né precedente o seguente. Occorrerà quindi fissarle una datazione più precisa ed un contesto storico meglio definito che spieghi anche il significato di un così inusuale particolare epigrafico. Appare subito chiaro il significato religioso di questa legenda, che invoca il nome di Gesù. Tale invocazione viene a configurarsi ancor più ragionevole se si pensi alla situazione in cui versava la Cristianità europea durante il regno di Giovanna I. Con papa Gregorio XI si chiuse, nel 1377, il periodo della “Cattività avignonese”: la sede papale fu riportata a Roma, ma la Francia giocava ancora un ruolo preponderante per il controllo del Soglio di Pietro.

Gregorio XI (1370-1378): bolognino romano (source: Numismatica Ars Classica AG)


I Romani, che temevano, dopo la morte di Gregorio (avvenuta il 27 marzo 1378) un ritorno della corte papale ad Avignone, fissarono una clausola importante per l’elezione del nuovo pontefice: il candidato doveva essere romano o, quantomeno, avere origini italiane. L’8 aprile 1378, per osservare la richiesta dei Romani, fu eletto papa l’itrano Bartolomeo Prignano che assunse il nome di Urbano VI. Il Prignano, quando fu scelto per succedere a Gregorio XI, era già una personalità molto influente all’interno delle gerarchie ecclesiastiche: sotto il suo predecessore, fu un valente amministratore della Cancelleria papale e si distinse per i suoi meriti alla corte di Avignone. Fu poi creato arcivescovo di Bari, carica che mantenne fino alla sua elezione.

I cardinali reduci della Cattività, che forse si aspettavano di trovare in lui il giusto compromesso tra la clausola imposta dai Romani e il peso che la Francia ancora godeva nella gestione degli affari della Chiesa (non dimentichiamo che Urbano VI aveva forgiato la sua carriera ad Avignone), rimasero fortemente delusi dall’atteggiamento del nuovo papa. Egli, infatti, assunse un comportamento rigido, intransigente e fortemente autoritario, annullando tutte le prospettive di quei cardinali che credevano di poterlo manipolare, o perlomeno, influenzare. In particolare, i cardinali francesi, che si aspettavano di godere di maggior peso politico alla corte del nuovo pontefice, iniziarono a manifestare il loro scontento con sempre più veemenza.

Urbano VI (1378-1389): medaglia di restituzione in bronzo (sourca: Numismatica Ranieri)


La situazione divenne incontrollabile e sfuggì di mano allo stesso papa Urbano: alcuni cardinali, soprattutto gli scontenti francesi, congiurarono contro di lui e si riunirono a Fondi, il 20 settembre 1378, per eleggere un nuovo papa che potesse fare da contraltare alla svolta autoritaria ch’egli aveva impresso alla Chiesa. Significativamente, fu scelto, con il nome di Clemente VII, Roberto di Ginevra, già vescovo di quella città, che era originario della città francese di Annecy, passata poi ai Savoia, con il primo duca Amedeo VIII, nel 1401, allorquando la dinastia ginevrina si estinse proprio con la morte dell’antipapa Roberto, il 16 settembre del 1394. La coesistenza di due pontefici, eletti entrambi con mezzi leciti, portò inevitabilmente al conflitto per la supremazia del trono di Pietro (ma fu un contrasto anche ideologico e politico, opponendosi da un lato gli interessi dei cardinali francesi a quelli, dall’altro, della fazione filo-italiana): fu un confronto che divise profondamente i regni cristiani dell’Europa del tempo e anche Napoli fu pienamente coinvolta in quello che passerà poi alla storia come Grande Scisma o Scisma d’Occidente.

Il confronto sfociò in una guerra aperta quando i due contendenti iniziarono a radunare truppe per fronteggiarsi anche sul piano militare. La regina di Napoli Giovanna I aveva già dato in precedenza il suo appoggio ai cardinali francesi riuniti a Fondi, ora invece si schierò decisamente dalla parte di Clemente VII. Nell’aprile del 1378, nei pressi del centro laziale di Marino, gli eserciti di Clemente furono sbaragliati dalle truppe di Urbano. Uno dei pochi alleati che il papa sconfitto poteva vantare in Italia era costituito proprio dal Regno della Regina angioina: giocoforza, Clemente VII, dopo la cocente sconfitta di Marino, si rifugiò a Napoli, presso la corte di Giovanna.

Giovanna I d’Angiò (1343-1382): fiorino senza data, ma collocabile al 1372 (source: Hess Divo AG)


Qui, Clemente e Giovanna tentarono di riorganizzarsi per fronteggiare la vittoriosa ascesa di Urbano VI. Un evento inatteso cambiò per sempre la vita e la politica dell’Angioina: una sollevazione popolare volta a riconoscere Urbano come unico e solo papa legittimo. Giovanna, trovandosi in difficoltà, fu costretta a rinunciare alle sue promesse d’aiuto in favore di Clemente, il quale si vide obbligato a lasciare anche Napoli: nel 1379 lo ritroviamo, infatti, ad Avignone con il suo seguito filo-francese. L’anno seguente – siamo nel 1380 – il vincitore Urbano VI, ormai padrone del campo italiano, si vendicò della Regina che aveva supportato il suo oppositore: Giovanna fu accusata di scisma ed eresia e per questo fu deposta. Vide quindi i suoi possedimenti minacciati da Carlo III d’Angiò-Durazzo (1382-1386), riconosciuto dal pontefice come nuovo sovrano di Napoli.

Giovanna, per scongiurare un’invasione da parte delle truppe durazzesche, in barba ai provvedimenti papali, adottò, dopo la dolorosa sconfitta di Anagni del 1381 subita dal nuovo marito, Ottone IV di Brunswick, come suo erede Ludovico I d’Angiò-Valois (1382-1384), il quale, pur avendo affrontato con successo la discesa in Italia per far valere i suoi diritti, non conquistò mai la capitale, preferendo rifugiarsi in Puglia e condurre da qui la sua offensiva contro il rivale.

Si ebbe così una situazione di guerra sia per la Chiesa, con il Grande Scisma, che per il Regno di Napoli. Quest’ultimo aveva perduto la propria regina (Giovanna, infatti, fu uccisa prigioniera nella fortezza di Muro Lucano il 12 maggio 1382, dopo essere stata trattenuta prima a Napoli, in Castel dell’Ovo, ma secondo altre fonti fu trasferita nel castello del Parco di Nocera Inferiore dove rimase fino al 28 marzo 1382) ed era ora diviso tra i Durazzeschi, ramo cadetto degli Angioini, che con Carlo III tenevano il controllo della capitale e della maggior parte del Regno, e i Valois di Ludovico I, i quali segnarono una debole quanto fastidiosa parabola discendente per il controllo dell’Italia meridionale.

Il denaro “scismatico” coniato dalla regina Giovanna I (source: Numismatica Ars Classica AG)


In questo travagliato panorama storico verrebbe a collocarsi l’emissione del suddetto denaro, battuto a Napoli per volere di Giovanna I, probabilmente mentre ospitava a corte il fuggiasco Clemente VII. Colpisce, infatti, l’assenza del nome della regina, la quale, però, come abbiamo visto, viene identificata subito dai suoi soli titoli regali. L’esplicito riferimento al Cristo, invece, sul rovescio, potrebbe collegarsi con l’ingresso di Clemente VII a Napoli, in quanto il pontefice è ritenuto il vicario in terra del Figlio di Dio. In questo modo, la regina manifestava cautamente il proprio favore per le mire filo-francesi dell’antipapa Clemente, senza esporre tuttavia il proprio nome ad eventuali malcontenti che, evidentemente, già serpeggiavano tra la popolazione ben prima che scoppiasse la rivolta, grazie ai numerosi sostenitori che Urbano VI poteva vantare a Napoli e in tutto il Regno.

L’iniziativa che la regina Giovanna si era posta con l’emissione di questo denaro era forse l’accettazione del suo aiuto prestato all’antipapa, abituando il popolo, che facilmente poteva maneggiare per le sue esigenze questo tipo di denari, all’idea dell’alleanza tra i due. L’estrema rarità del pezzo in questione si spiega con la necessità di bloccarne la coniazione allorquando il popolo iniziò a manifestare apertamente la propria avversione per la situazione in cui versava il Regno, opponendosi all’appoggio regio goduto da Clemente VII. In conclusione, questa moneta resta come testimonianza di uno degli ultimi atti politici compiuti da Giovanna I, decisione che poi, come avrebbe sperimentato ella stessa di lì a poco, le sarebbe costata il Regno e, più tardi, addirittura la vita.