PAROLE E MONETE: L’AUSPICIO ESTENSE
AD UNA DINASTIA PERPETUA?

(di Roberto Ganganelli) | La nostra rubrica dedicata a motti e imprese latine sulle monete italiane – per la quale attingiamo a piene mani dall’inesauribile opera di Mario Traina “Il linguaggio delle monete” – questa settimana fa tappa nella Ferrara degli Estensi, e precisamente nel periodo di Ercole II, quarto duca della città (1505-1534). PERFICIT ET CONFICIT (nelle varianti epigrafiche PERFICIT ET 2FICIT, PERFICIT ET 9FICIT, PERFICIT ET CONFIC e PERFICIT ET CONFICI) si legge infatti sui grossetti o doppi soldi (muraiole, secondo gli studi più recenti di Lorenzo Bellesia), battuti in mistura d’argento e con i cui conii sarebbe stato realizzato, secondo Guido Antonio Zanetti sulla fede di una tariffa del 1580 e della “Ordonnance et Instruction” stampata ad Anversa nel 1633, anche un ducato d’oro (nessun esemplare noto).

Un bell’esemplare della muraiola estense con al rovescio Saturno con il serpente che si morde la coda (source: NAC Numismatica Ars Classica)


Il motto, che significa letteralmente “Compie e consuma”, si accompagna sui rovesci di queste monete estensi – il dritto è occupato dal ritratto del duca – alla figura di Saturno in veste di egiziano che tiene fra le mani un serpente che si morde la coda. Ad identificare nel personaggio raffigurato Saturno, vestito da egiziano, è stato Bonacossi, secondo il quale l’identificazione si giustifica col fatto che il serpente era uno dei simboli attribuiti dai Greci a Saturno (cfr. Ravegnani Morosini, 1984, I, p. 161, n. 14 e Bellesia, op. cit. p. 211, n. 8). Ma l’attributo costante di Saturno è la falce e non il serpente, che è invece l’attributo di un’altra raffigurazione greca del tempo, l’Aion (cfr. “Lexicon Iconographicum”, 1981, I, 1, pp. 399/411). Il serpente che si morde la coda, il cosiddetto “Uroboros” (cfr. Chevalier-Gheerbrant, 1999, pp. 526-527) è simbolo, frequentissimo negli emblemi, del tempo ciclico che si rinnova continuamente, fine e principio di ogni cosa: in tal senso potrebbe alludere alla perpetuità della dinastia ducale.

Ravegnani Morosini, riferendosi alla mitologia egiziana (Cnef, l’essere supremo, era rappresentato anche come un serpente che si morde la coda, formando un cerchio senza soluzione di continuità) interpreta: “Intraprese e portò a compimento”; anche per Bellesia la legenda è traducibile in “Intraprese e terminò”. Tuttavia, sottolinea Mario Traina, “PERFICIT e CONFICIT sono presenti e non perfetti, e inoltre CONFICIO denota il punto terminale e non iniziale di un processo (comunque ci si aspetterebbe CONFICIT ET PERFICIT)”.

Ci sarebbe poi – ci informa il professor Andrea Saccocci – una semplicissima traduzione di PERFICIT ET CONFICIT, forse ignorata proprio perché troppo semplice. Gli ultimi autori che ne hanno parlato evidentemente non hanno guardato “verso il basso”, cioè la cultura popolare, ma pare strano che nessuno la abbia proposta in passato. Forse perché, ancora nel ‘700, la forma usuale era quella latina? Forse sì. Quella legenda ha un perfetto corrispettivo nel nostro  “Fa e disfa“, cosa che si adatta bene ad un serpente che mangia se stesso e quindi, probabilmente, al tempo che crea e distrugge.