BISANZIO E LE MONETE DI ERACLIO I,
“IL BASILEO RIFORMATORE”

(di Luca Mezzaroba) | Lungo la millenaria storia dell’Impero romano d’Oriente si possono individuare dei particolari periodi in cui lo Stato bizantino visse importanti riforme che ne modificarono la fisionomia in modo più o meno evidente; in ogni caso, la svolta più significativa e duratura è sicuramente collocabile nella prima metà del VII secolo e precisamente durante il regno di Eraclio I. Il lungo governo di questo sovrano, che resse le sorti dell’Impero dal 610 al 641, portò infatti profonde riforme su quasi tutti gli aspetti della società, della cultura e dell’amministrazione dello Stato, che proprio da questo periodo è possibile definire (sempre in modo improprio) “bizantino”.

Eraclio infatti apportò numerosi cambiamenti che andavano dalla semplificazione della burocrazia all’adozione della lingua greca, più usata in Oriente rispetto al latino, per giungere ad ardite scelte in campo religioso; in questo ambizioso piano non poteva però mancare anche la monetazione, a cui Eraclio riservò grande importanza non solo sul piano propagandistico e iconografico, ma anche su quello propriamente economico e di scambio.

Il primo decennio del VII secolo si era aperto in modo disastroso per l’Impero d’Oriente: nel 602 il legittimo sovrano Maurizio (582-602) era stato rovesciato e brutalmente giustiziato a seguito di una rivolta militare, che aveva portato sul trono imperiale Foca, un semplice centurione; la crisi interna aveva tuttavia favorito gli storici nemici dell’Impero, vale a dire gli Avari e i Persiani: in particolare questi ultimi diedero presto inizio ad una grande offensiva con l’obiettivo di conquistare le ricche regioni orientali.

Impegnato ad eliminare i suoi numerosi oppositori interni, Foca non fu capace di organizzare una concreta resistenza all’avanzata delle armate persiane, che presto giunsero ad accamparsi sulle rive del Bosforo, davanti alla stessa Costantinopoli; a questo punto Eraclio, il potente esarca d’Africa, decise di inviare una grande flotta contro la capitale per porre termine al dissennato governo dell’usurpatore; essendo tuttavia l’esarca troppo vecchio per guidare personalmente la spedizione, decise di affidarla al suo giovane figlio, anch’egli di nome Eraclio. Mentre un suo parente guidava la riconquista dell’Egitto, Eraclio giunse a Costantinopoli nell’autunno del 610 e, accolto in modo trionfale dalla popolazione, ebbe facilmente ragione di Foca, che fu rapidamente giustiziato.

In alto, l’esercito di Eraclio attacca l’usurpatore Foca; in basso, i Persiani assediano Costantinopoli mentre Eraclio attacca una loro fortezza (“Cronaca di Costantino Manesse”, miniature nn. 41-42, XIV secolo)

L’incoronazione di Eraclio (6 ottobre 610) non cambiò tuttavia l’andamento del conflitto, che anzi, nel primo decennio del suo regno, si rivelò catastrofico per l’Impero: nel 611 infatti furono saccheggiate varie città della Siria, mentre tre anni dopo la stessa Gerusalemme fu conquistata dai Persiani, che distrussero la chiesa del Santo Sepolcro e trafugarono le reliquie della Santa Croce; nel 619, infine, cadde anche l’Egitto. Questi rovesci spinsero Eraclio a pensare di trasferire la capitale a Cartagine, tuttavia il patriarca Sergio riuscì a dissuadere l’imperatore, anche grazie alla promessa di consegnare allo Stato le grandi ricchezze della Chiesa.

La potente offensiva persiana aveva portato l’Impero d’Oriente molto vicino al collasso, tuttavia non era riuscita ad abbatterlo completamente; a questo punto Eraclio presa la decisione di mettersi personalmente a capo delle truppe, rompendo una tradizione che durava da duecento anni e (secondo alcuni storici) di avviare la grande riforma militare basata sulle circoscrizioni militari (“themi”). Guidate da Eraclio e sostenute da un forte zelo religioso, le armate imperiali penetrarono in Armenia nel 622 ed inflissero ai nemici pesanti sconfitte; i Persiani allora tentarono un’azione disperata e, insieme agli Avari, assediarono Costantinopoli nel 626. Nonostante l’assenza di Eraclio, la capitale riuscì a resistere, questo consentì all’imperatore di organizzare l’offensiva decisiva che culminò nella splendida vittoria presso le rovine di Ninive (dicembre 627). La guerra era dunque finita e la restituzione della Santa Croce suggellava il definitivo successo della prima fase del regno di Eraclio.

Nonostante la situazione di crisi politico-militare dello Stato e il suo impegno personale alla guida delle armate, Eraclio ebbe anche il tempo di occuparsi della monetazioone imperiale, rinnovando l’iconografia del solido d’oro e creando una nuova moneta d’argento, l’hexagramma, per colmare il divario tra le monete d’oro e di bronzo.

Follis di Eraclio e suo padre in abiti consolari (bronzo mm 27; g 9,98; h 6)

In realtà, l’attenzione di Eraclio e del padre per la numismatica si era evidenziata ancora prima che egli divenisse imperatore: quando la flotta con cui avrebbe preso il potere a Costantinopoli era in navigazione, nell’Impero circolavano già da diversi anni dei follis di propaganda raffiguranti, al dritto, la sua immagine affiancata a quella del padre, entrambe incoronate e in abiti consolari.

I primi solidi di Eraclio, ormai imperatore, collocabili tra il 610 e il 613, presentano ancora un’iconografia legata al modello del secolo precedente: il sovrano, raffigurato di fronte, indossa infatti il tipico abito militare costituito dalla corona con “pendilia”, dalla corazza e dal “paludamentum” (mantello), mentre nella mano destra stringe un globo crucigero. Il rovescio invece si distacca dai precedenti in quanto presenta una croce al di sopra di tre gradini. Nonostante il breve periodo di emissione, il numero dei solidi recanti questa iconografia è decisamente elevato; tuttavia è curioso il fatto che spesso le fattezze di Eraclio ricordino molto quelle del suo odiato predecessore Foca.

Dal 613, comunque, la rappresentazione del sovrano nelle monete d’oro cambia in modo drastico: se infatti il rovescio dei solidi mantiene invariato il modello della croce al di sopra dei gradini, al dritto l’abito militare è abbandonato in favore di quello civile. Eraclio infatti veste una clamide trattenuta sulla spalla da una ricca fibbia con “pendilia” e sul capo porta una corona con croce. L’altra importante novità di questa moneta è poi rappresentata dalla presenza, al fianco dell’imperatore, di un’altra figura più piccola, anch’essa vestita con clamide e incoronata. Il personaggio è facilmente identificabile con Eraclio Costantino, il primo figlio del sovrano che fu associato al trono in quello stesso anno. Può sembrare paradossale che l’iconografia legata al sovrano in armi e trionfatore sia stata abbandonata proprio quando Eraclio prendeva la decisione di mettersi alla guida delle truppe, tuttavia bisogna considerare che la presenza dell’abito civile, nella numismatica bizantina, era da sempre collegata alla volontà politica del sovrano di trasmissione del potere (C. Morrison, “Byzance et sa monnaie. IV-XV siècle”, Lethielleux 2015, p. 38.); non a caso Eraclio è affiancato dal figlio appena associato al trono e la rappresentazione di quest’ultimo, nei ventisei anni successivi, subirà continui mutamenti legati al procedere della sua maturità.

In alto, solido di Eraclio in abiti militari (oro mm 20; g 4,49; h 7); in basso a sinistra solido di Eraclio con Eraclio Costantino giovane (oro mm 21; g 4,39; h 8); in basso a destra solido di Eraclio con Eraclio Costantino adulto (oro mm 22; g 4,48; h 7)

La moneta d’oro, dunque, assume un valore di propaganda fondamentale: essa infatti deve mostrare la stabilità del potere imperiale legata alla già ben definita successione al trono; questa volontà è presente anche nella particolare tipologia di solidi emessi tra il 629 e il 631, vale a dire nel periodo immediatamente successivo al trionfo sui Persiani. In queste monete Eraclio, sempre vestito con la clamide, porta una lunga barba e folti baffi: questa inconsueta rappresentazione ha fatto ritenere ad alcuni studiosi che l’imperatore avesse voluto farsi raffigurare con gli attributi tipici del potere persiani, forse per legittimare il suo successo. Oggi questa affascinante ipotesi sembra tuttavia priva di fondamento e, più semplicemente, si ritiene che l’iconografia raffiguri in modo realistico la persona di Eraclio, che in quel periodo portava la barba (P. Grierson, “Byzantine Coins”, London, 1982, p. 94).

L’attenzione del sovrano non fu riservata solo al solido d’oro, egli infatti cercò di porre un freno alla crisi del follis di bronzo (e ai problemi di scambio che essa comportava) con la creazione di una nuova moneta d’argento: l’hexagramma. L’origine di questa moneta è particolare in quanto fu emessa per la prima volta nel 615, vale a dire quando la Chiesa di Costantinopoli concesse i suoi beni per finanziare la guerra contro i Persiani; purtroppo non si conosce con precisione il valore dell’hexagramma, forse 1/6 o 1/12 del solido, tuttavia il suo peso di 6,8 g. è probabilmente alla base del nome della moneta. Anche l’hexagramma fu sfruttato da Eraclio come mezzo di propaganda: il dritto presenta infatti il sovrano e suo figlio affiancati, entrambi in abiti civili e con tutti gli attributi del potere imperiale, mentre il rovescio mostra i consueti simboli cristiani, una sfera al di sopra di tre gradini e sormontata da una croce, ma rielaborati con uno scopo sicuramente politico e in linea con la crisi militare di quegli anni, come dimostra la scritta “Deus adiuvat Romanis”.

In alto, solido di Eraclio barbuto con Eraclio Costantino (oro mm 19,5; g 4,41; h 6); in basso, hexagramma di Eraclio con Eraclio Costantino (argento mm -; g 5,12; h. -)

La prima parte del regno di Eraclio si era dunque conclusa con il ritorno trionfale a Costantinopoli del basileus, titolo ormai entrato nell’uso ufficiale proprio grazie alla riforma linguistica voluta dal sovrano; nessuno in quel momento avrebbe potuto immaginare che, circa dieci anni dopo, l’Impero sarebbe stato costretto sulla difensiva, schiacciato da un nuovo, potentissimo nemico. La seconda parte del regno di Eraclio vide infatti l’avvento dell’Islam e la straordinaria espansione delle armate arabe. Oltre a questo, gli ultimi anni dell’imperatore furono segnati da feroci lotte all’interno della sua stessa famiglia, che contrapposero la fazione fedele al primogenito Eraclio Costantino a quella del secondogenito Eracleona, avuto dalla secondo moglie Martina.

Questa situazione di crisi, non tanto sul piano militare quanto piuttosto su quello familiare e di palazzo, è riscontrabile anche nelle monete: l’ultima tipologia di solido vede infatti, al dritto, un ulteriore mutamento dell’iconografia imperiale, mostrando ora tre figure intere, in piedi e affiancate. Quella centrale, più alta, rappresenta Eraclio, vestito con la clamide, il divitision (una tunica intima di colore bianco), il tablion (un riquadro decorativo della clamide) e delle scarpe probabilmente rosse; il sovrano porta la corona e si distingue ancora per la presenza dei baffi e della barba. Gli altri due personaggi, vestiti come il basileus, sono i due figli Eraclio Costantino ed Eracleona; proprio dai solidi è però possibile cogliere le tormentate manovre dinastiche di quegli anni, che videro dapprima la conservazione del diritto di successione di Eraclio Costantino e, successivamente, il riconoscimento ufficiale, grazie alle pressanti richieste di Martina, di Eracleona come associato al trono con pari grado del fratellastro.

In alto, solido di Eraclio con Eraclio Costantino ed Eracleona giovane (oro mm 20; g 4,42; h 6); in basso, solido di Eraclio con Eraclio Costantino ed Eracleona adulto (oro mm 18; g 4,41; h 6)

I solidi emessi tra il 632 e il 638 mostrano infatti Eraclio Costantino alto quasi quanto il padre ed incoronato, mentre Eracleona, rappresentato come un bambino, è molto più basso e non indossa la corona, sostituita da una piccola croce al di sopra della sua testa. Dal 638 invece le figure dei due fratelli, non solo nei solidi ma anche negli hexagrammi, hanno la stessa altezza e sono entrambe incoronate; proprio in quell’anno infatti Eraclio decise di nominare entrambi i figli correggenti.

Non possiamo sapere, tuttavia, se questa scelta fu presa dal basileus nel pieno esercizio delle sue facoltà o per scacciare l’ennesimo assillo che affliggeva l’ultimo, cupo, periodo della sua vita: gli anni precedenti si erano infatti rivelati disastrosi per l’Impero e il vecchio sovrano non aveva più l’energia per contrastare gli eventi. Nel 636 egli infatti si era posto nuovamente alla guida delle sue armate, con l’intenzione di ricacciare gli Arabi dalla Siria e dalla Palestina; tuttavia l’Eraclio che andava incontro alla disastrosa battaglia del fiume Yarmuk (agosto 636) non era più quel sovrano forte e deciso di ventisei anni prima, ma un uomo stanco, demoralizzato dagli insuccessi militari e amareggiato dal comportamento dei familiari e dal fallimento della sua politica religiosa.

Negli ultimi anni di vita, il grande basileus, ormai consumato dall’idropisia, non poté che assistere inerme agli intrighi dell’imperatrice Martina, donna forte e ambiziosa. Proprio per queste ragioni, alcuni studiosi avevano riconosciuto lei, e non Eudocia, la prima figlia di Eraclio, nella figura femminile presente in alcuni follis (al riguardo si vedano P. Grierson, “Byzantine Coins”, op. cit., p. 88 e C. Morrison, “Byzance et sa monnaie”, op. cit., p. 39). Tali macchinazioni, infine, portarono alla consegna dell’Egitto agli Arabi, ma almeno questa sciagura, ad Eraclio, fu risparmiata: egli infatti morì l’11 febbraio 641.

Follis di Eraclio con Eraclio Costantino ed Eudocia (bronzo mm 23; g 4,65; h 7)

Un giudizio sulla figura del primo dei basilei è veramente arduo, basti pensare ad esempio alle conclusioni della prima e della seconda fase del suo regno, e in ogni caso non è compito di questo articolo soffermarsi su tali complesse questioni; mi piace tuttavia pensare che, ormai prossimo alla fine, Eraclio si sia posto questo drammatico quesito, e facendolo gli sia tornato alla mente un lontano giorno d’autunno e quel breve dialogo che lui, giovane e vittorioso, aveva avuto con Foca; “È così che tu hai governato l’Impero?” gli aveva chiesto in modo sprezzante; e Foca di rimando: “E tu credi che lo governerai meglio?”.