EDITORIALE: DAL 1923 A OGGI,
L’ODISSEA INFINITA DEL TESORETTO DI OGNINA 

(di Roberto Ganganelli) | Scrive “Il Giorno” del 25 febbraio scorso: “Un forziere ritrovato in mare chissà quando e nascosto in un vecchio deposito. Il proprietario di quel terreno alle prese con una fortuna inestimabile. E i suoi eredi che ora vorrebbero far fruttare un patrimonio al quale l’Italia aveva in parte rinunciato firmando una convenzione”. Le vicende del tesoretto di Ognina iniziano il 15 giugno del lontano 1923, nel Catanese, con il ritrovamento di 305 monete in argento di epoca magno greca. La storia diventa di pubblico dominio e a quel punto lo Stato si attiva. La legge prevede, all’epoca, un premio per chi rinviene reperti antichi pari alla metà del loro valore e, per stabilirne l’ammontare, come nella miglior tradizione italiana, viene nominata una “commissione ad hoc” che conclude i lavori… il 20 giugno 1948!

L’accordo tra gli eredi del rinvenitore e le autorità prevede che il tesoretto venga attribuito “per la quota indivisa di metà allo Stato e per le residue quote di un quarto ciascuna rispettivamente agli eredi del proprietario del fondo, nel frattempo deceduto”. In particolare, secondo i documenti del tempo, “lo Stato, a tacitazione, saldo e pieno soddisfo della sua quota di proprietà, pari alla metà, si attribuisce 7 monete ritenute di maggior pregio e, in base alla perizia, di valore complessivo pari a quello di tutte le restanti”. E ancora: “È patto espresso ed essenziale della presente transazione che lo Stato italiano rinunzi definitivamente a porre qualsiasi vincolo o limitazione alla libera disponibilità e commerciabilità delle monete rimaste comuni tra le due parti contraenti”; al massimo, si precisa nell’atto notarile firmato – il 27 marzo 1957, e sono passati quasi altri dieci anni – “lo Stato si riserva l’opzione di acquisto di altre 29 monete ritenute di particolare interesse”, mentre “delle residue monete le parti private potranno disporre come meglio crederanno da pieni e assoluti proprietari e potranno anche alienarle liberamente”.

“Qualche anno fa, si apprende adesso – e riportiamo ancora l’articolo della redazione milanese de “Il Giorno” – gli eredi del proprietario provano a esercitare questo diritto, ma vengono bloccati nel 2011 dall’Ufficio esportazione oggetti d’arte di Roma e nel 2012, con due distinti provvedimenti, dalla Soprintendenza per i beni archeologici della Lombardia e dal direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici (eredi e monete si trovano a Milano). Risultato: divieto di libera circolazione e vincolo di eccezionale interesse posto sui reperti della Magna Grecia. “Ma come? – si chiede Nicola Palma, autore dell’articolo – L’Italia si è rimangiata la parola? I diretti interessati non ci stanno e presentano ricorso al Tar del Lazio, che in prima istanza dà loro ragione rispolverando la firma sull’accordo del 1957 con la quale ‘lo Stato ha rinunciato in via definitiva a porre sulle monete qualsiasi limite o vincolo’”.

Di opposto parere, tuttavia, il Consiglio di Stato, che si esprime a favore del Mibact con la motivazione: “I beni culturali che si trovano sul territorio fanno parte del patrimonio storico della Nazione e non devono, in linea di principio, essere ceduti, portati altrove o fisicamente alterati, e nei casi di rinvenimento spettano allo Stato, che è il soggetto tenuto a garantirli”. Del resto, secondo il collegio presieduto dal giudice Luigi Maruotti, i divieti di esportazione sono stati “i primi esempi storici di tutela dei beni”.

Ora, fermo restando che dal 1923 ad oggi le leggi italiane in materia di beni culturali (e relativa loro circolazione/commercio) sono cambiate, che è anche mutata la forma istituzionale di questa nostra contraddittoria Italia e che, alla luce delle norme attuali e delle sentenze dei tribunali, il tesoretto di Ognina deve rimanere per intero in Italia – anche la parte legittimamente in mani private, ne prendiamo atto -, c’è molto da riflettere alla luce di questo ennesimo caso tanto sul concetto di tutela del bene pubblico che, soprattutto, di quei diritti individuali dei cittadini (nella fattispecie, i proprietari delle monete) solo impegnandosi a garantire i quali lo Stato italiano ha fondato, e deve legittimare giorno dopo giorno,  la propria identità di democrazia.